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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 08:07.
BUENOS AIRES. Dal nostro corrispondente
Pareva archiviata la stagione dei colpi di stato in Sud America. Invece no, l'Ecuador sta assistendo a un vero e proprio assedio alla presidenza di Rafael Correa. I saccheggi in strada, i militari che occupano l'aeroporto della capitale Quito, la polizia che circonda e blocca l'ingresso del Parlamento, il presidente trincerato in ospedale, gli annunci alla radio del ministro degli Esteri che chiede alla popolazione di scendere in strada per difendere Correa. Infine l'annuncio del governo, «lo stato di emergenza».
Il presidente ecuadoriano Rafael Correa, in carica dal gennaio 2007, ha denunciato un tentativo di colpo di Stato, dopo che l'ospedale in cui si trova ricoverato perché intossicato dal fumo dei gas lacrimogeni è stato circondato da un gruppo di poliziotti.
«L'unica cosa che ho da perdere è la vita, e lo farò con piacere» ha dichiarato Correa, intervistato al telefono da alcune radio locali. Il presidente ritiene responsabili del tentativo di golpe l'opposizione e una parte delle forze di sicurezza.
Nell'ospedale in cui è ricoverato Correa si sono sentiti degli spari. Un gruppo di poliziotti ha occupato l'edificio del Parlamento: all'origine delle proteste vi è la legge varata - ma non ancora promulgata - dal governo, che taglia i benefit destinati alle forze di sicurezza. Oltre a diminuire le esenzioni fiscali e gli incentivi economici, la legge aumenta l'intervallo minimo necessario per la promozione al grado superiore, che passa da cinque a sette anni.
La tensione è salita alle stelle in mattinata, quando 150 fra agenti e militari hanno occupato alcune caserme e l'aeroporto della capitale: Correa, giunto nello scalo per parlare con i militari, è stato oggetto del lancio di gas lacrimogeni; ricoverato per una lieve intossicazione non ha più potuto lasciare l'ospedale, circondato dai rivoltosi. Il presidente ha ricevuto l'appoggio di tutti i paesi latinoamericani che riconoscono il governo in carica come l'unico legittimo. Una dopo l'altra sono arrivate le dichiarazioni di solidarietà da Brasile, Argentina, Cile, Colombia, Bolivia, Perù, Venezuela e Uruguay. Oltre ai paesi latinoamericani ha reagito subito anche la comunità internazionale: il governo spagnolo ha condannato qualsiasi tentativo di golpe a Quito e a Washington, è stata convocata una riunione d'urgenza dell'organizzazione degli stati americani (Osa).