Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2010 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2010 alle ore 09:13.
Nei giorni scorsi, nella quasi totale indifferenza dei politici italiani, la Commissione europea ha proposto un'importante riforma della governance economica dell'area euro. La proposta è frutto di una riflessione che negli ultimi mesi ha coinvolto anche la Banca centrale europea (Bce) e i governi di alcuni paesi.
La crisi finanziaria della Grecia ha evidenziato due problemi. Primo, è evidente che il Patto di stabilità e i meccanismi di sorveglianza europei hanno fallito: non sono riusciti a impedire l'accumularsi di squilibri eccessivi nelle finanze pubbliche e nei conti con l'estero dei paesi del Sud Europa. Secondo, gli errori di alcuni paesi rendono fragile tutto il sistema: per garantire la sopravvivenza della moneta unica, la Bce e i paesi dell'area euro sono dovuti intervenire in soccorso dei più deboli.
Il rimedio a questi problemi non può che passare da un maggiore trasferimento di sovranità dall'ambito nazionale a quello europeo. E questo è ciò che propone la Commissione. Ma sebbene l'obiettivo generale sia fuori discussione, l'impostazione della riforma è poco convincente. La parte che lascia più perplessi riguarda gli squilibri macroeconomici. Sulla base di indicatori come i conti con l'estero, la competitività, l'accumulazione di debito privato e pubblico, la Commissione dovrebbe identificare i paesi a maggior rischio di instabilità e formulare raccomandazioni di politica economica in un ambito potenzialmente molto vasto. I paesi che non adottano misure correttive possono subire sanzioni pecuniarie, secondo una procedura che attribuisce alla Commissione un forte potere di proposta (le decisioni della Commissione possono essere fermate solo da una maggioranza qualificata di paesi).
I dubbi sono molteplici. Innanzitutto, la nozione stessa di squilibrio macroeconomico è poco chiara. Il disavanzo di parte corrente può essere sostenibile o meno a seconda di come vengono investite le risorse che affluiscono dall'estero. La competitività è un concetto relativo che non dipende solo dalle politiche nazionali, e che comunque non necessariamente porta all'insostenibilità (prova ne è l'Italia, che ha perso competitività in un contesto di bassa crescita e senza accumulare un grave disavanzo con l'estero). È difficile identificare ex-ante eventuali distorsioni nell'allocazione degli investimenti o eventuali bolle speculative nel prezzo degli immobili. E così via.