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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 08:04.
ROMA.
Spuntano i dubbi degli investigatori sul presunto attentato a Belpietro e la solidarietà bipartisan al direttore di Libero è già dimenticata. La politica torna a dividersi, in un rimpallo di responsabilità sui nuovi rischi di terrorismo.
Ieri mattina il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, dichiara: «Non è il primo episodio, purtroppo, e temo non sarà l'ultimo: bisogna davvero abbassare i toni». Poi annuncia: «Lunedì pomeriggio sarò in prefettura a Milano, sono preoccupato per il clima che genera episodi come questo». Maroni osserva che «certe accuse che si leggono spesso anche sui siti internet poi possono dare a qualche mente malata lo spunto ad agire». Per Maurizio Belpietro «abbiamo intensificato la sorveglianza ma anche per altri soggetti che riteniamo a rischio».
«Il ministro Maroni è una persona che stimo, seria, capace e responsabile che sta facendo molto bene. In questo caso mi auguro che non abbia ragione» sostiene il presidente della Ferrari, Luca di Montezemolo. In realtà le perplessità sulla dinamica del cosiddetto agguato e la reazione dell'agente di scorta sono forti e hanno fatto emergere, fin dalle prime ore di venerdì, le cautele di tutto il Viminale, nonostante le posizioni ufficiali e quelle fatte filtrare. Il capo della Polizia, Antonio Manganelli ha chiamato il questore di Milano, Vincenzo Indolfi, per sollecitare il massimo scrupolo nelle indagini, che non devono tralasciare alcuna pista. Uno dei dubbi più seri, per esempio, riguarda il fatto che il caposcorta di Belpietro, A.N., avrebbe sparato tre volte con la sua pistola senza riuscire a colpire, a cinque metri di distanza, l'intruso nelle scale del condominio di Belpietro. Tuttavia, se pure si dovesse accertare che quello contro il direttore di Libero non è stato un attentato - c'è chi insinua perfino che si sia trattato di una messinscena - ciò non delegittima i timori sulle conseguenze del clima di odio oggi in campo.
È dal 13 dicembre 2009, quando Massimo Tartaglia colpì in faccia con un souvenir a Milano il premier Berlusconi, che i responsabili della pubblica sicurezza temono non tanto rigurgiti di terrorismo interno ma altri gesti più o meno isolati, frutto dell'esasperazione di certe tensioni politiche e sociali. Non a caso il ministro degli Esteri, Franco Frattini, dice che «noi dobbiamo immediatamente rasserenare il clima, buttando molta acqua su questa violenza verbale».