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Lega e fondazioni bancarie in pressing per le infrastrutture al Nord

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 08:01.

Dopo la Lega in banca, la Lega al casello e in cantiere. Benché anche i vecchi democristiani arroccati nelle fondazioni si scoprano animati dalle stesse intenzioni infrastrutturaliste.

Nel Nord, segnato dai vincoli della spesa pubblica, i nuovi equilibri di potere sull'asse Carroccio-post Dc spingono le fondazioni ad aumentare il pressing sulle banche, perché sostengano con maggiore intensità la costruzione di strade, poli logistici e snodi intermodali. Con una tendenza che, al di là dell'attuale friabilità del quadro politico nazionale, segnerà i prossimi anni. E, in più, l'incognita sul futuro ruolo di Unicredit, che rispetto al passato potrebbe avere un ruolo più da protagonista, accanto a Intesa Sanpaolo, pivot incontrastato - come azionista e finanziatrice - nelle grandi opere settentrionali.


«Gli enti pubblici sono ingessati dal patto di stabilità - dice Luca Galli, rappresentante del Carroccio in Cariplo, azionista di Cà de Sass -, lo so bene io che faccio l'assessore al bilancio al comune di Castellanza. Dunque, diventa essenziale il ruolo delle fondazioni: non solo diretto, come in Cdp, ma anche attraverso una pressione virtuosa sulle banche».
Il contesto è davvero complesso: per esempio, secondo un'analisi di Finlombarda, nella sola Lombardia nei 12 mesi conclusi al 30 giugno, sono partite grandi opere per 96 milioni, contro i 2,1 miliardi del periodo precedente. Sotto il profilo dell'ingegneria finanziaria, ampliando lo sguardo a tutto il nord, il quadro resta quello delineato a maggio, in un colloquio con Il Sole 24 Ore, da Mario Ciaccia, numero uno di Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo (Biis): «Servono garanzie per le grandi opere, e poi anche diversi miliardi, non bruscolini». Cinque mesi dopo, almeno in apparenza, poco o nulla è cambiato. Il grosso dei prestiti per realizzare Brebemi e Pedemontana, rispettivamente 1,6 e 3,2 miliardi, è ancora in stallo.


Lo strumento del project financing, presentato negli ultimi anni come l'eldorado delle grandi opere a costo zero, non decolla. Gli enti locali sottoscrivono l'equity con il contagocce e, più che a investire, pensano a dismettere, strozzate dalla crisi, dai tagli in finanziaria e da bilanci sempre più magri. Mentre ci sono scadenze sempre più ravvicinate: la Pedemontana va completata entro il 2013, la Brebemi l'anno successivo e, nel 2015, la seconda tangenziale esterna di Milano.

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Tags Correlati: Alessandro Profumo | Appalti | Autostrade | Banco di Brescia | Brebemi | Cassamarca | Daniele Molgora | Dino De Poli | Fondazione Cariplo | Giovanni Gorno Tempini | Giuseppe Camadini | Guido Podestà | Intesa Sanpaolo | Lega | Lombardia | Luca Galli | Ubi Banca

 

In un contesto di questo genere, che data la scarsità dei mezzi finanziari e l'imminenza delle scadenze pone di fatto una questione quasi "da responsabilità nazionale", avrebbe preso forma nei mesi scorsi un nuovo equilibrio fra Giuseppe Guzzetti, numero uno della Fondazione Cariplo, il vicepresidente di UniCredit Fabrizio Palenzona e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Il primo, da grande socio di Intesa Sanpaolo, ha già fatto sentire la propria voce, negli anni passati, sul necessario sostegno al cambio di marcia infrastrutturale del Nord. Al secondo, in un'intesa democristiana d'antan con Guzzetti, non dispiacerebbe coinvolgere maggiormente Piazza Cordusio con investimenti sul territorio. E, adesso, dopo la defenestrazione di Alessandro Profumo e la promozione a Ceo di Federico Ghizzoni, il nuovo management di UniCredit non potrà non fare i conti con i territori, affamati di infrastrutture, e con le fondazioni, che questi territori rappresentano. Infine, c'è Tremonti: e qui la liason passa per i capitali e il bollino di garanzia (propedeutico alla "bancabilità" dei dossier) di Cassa depositi e prestiti, guidata da quel Giovanni Gorno Tempini che è il simbolo dell'appeasement tra il ministro di Sondrio e il bresciano Giovanni Bazoli. Brescia, che con la Brebemi "avvicinerà" Milano di quasi 50 chilometri, è uno dei cardini dell'intesa: non a caso, nei vari dossier padani, si segnala la costante presenza di Ubi Banca, nel cui consiglio di sorveglianza c'è Bazoli, mentre nel consiglio di gestione compare Giuseppe Camadini, l'altro dioscuro della finanza di rito bresciano.


Su tutta la dorsale padana, l'analisi dello stato dell'arte effettuata dal Sole 24 Ore sembra confermarlo. Per la Brebemi servono capitali da 1,6 miliardi. Chi li metterà? Una buona metà Cassa depositi e prestiti e l'altra metà un consorzio formato, guarda caso, da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Centrobanca (gruppo Ubi). La liquidità necessaria per portare avanti i cantieri in attesa del maxi finanziamento è arrivata a giugno, quando ancora Biis (Intesa) e Banco di Brescia (Ubi) hanno esteso a 350 milioni il finanziamento da 150 milioni già erogato a novembre scorso.

Del resto, Brebemi è controllata da Autostrade Lombarde, che a sua volta vede come primo azionista Intesa Sanpaolo (con il 39,7%), seguita dagli enti locali. Il piano economico e finanziario del progetto, peraltro, a causa dello slittamento dei tempi, ha subìto un riequilibrio tradottosi in un aumento di capitale da 61 milioni. Aumento che, in piena estate, ha rischiato di saltare per il conflitto tra la provincia di Brescia (guidata dal leghista Daniele Molgora) e la concessionaria Cal, partecipata al 50% dalla formigoniana Infrastrutture Lombarde, che per recuperare fondi voleva posticipare di 10 anni la realizzazione delle opere complementari all'autostrada. Alla fine, la quadratura del cerchio è stata trovata puntando su una riduzione degli oneri finanziari (tradotto: minori profitti per le banche) e su un rincaro dell'aumento annuo delle tariffe, salito dal preventivato 1,9% al 2,9 per cento.

Capitolo Pedemontana. Qui i soldi in ballo sono molti di più e la situazione meno definita: circa 5 miliardi, di cui 3,2 da finanziare. Il dominus è la Provincia di Milano, che attraverso Asam controlla il 68% della società, anche se nel capitale ricompaiono i soliti noti: Ubi con il 6% e Intesa Sanpaolo con il 26 per cento. Il tema è l'operatività corrente prima di tutto.
Il presidente Guido Podestà, non sempre entusiasta di avere sulla testa la concessionaria Cal, ha ventilato un aumento di capitale, ma le finanze degli enti locali piangono. Così, da maggio, è aperta un'estenuante trattativa per un prestito ponte da 250 milioni. Nelle prossime settimane, i soliti noti (Intesa, UniCredit, Ubi e per l'occasione anche Mps e Popolare di Milano) dovrebbero finalmente aprire i cordoni della borsa. Il 2011, invece, resta un rebus: c'è chi ipotizza un nuovo prestito ponte concesso da istituti stranieri e chi, invece, un accesso diretto al finanziamento senior da 3 miliardi, in cui Cdp si aggiudicherebbe, come da statuto, fino alla metà della torta. Sullo sfondo, ma non meno importante, c'è il dossier Serenissima di cui Rino Gambari, industriale metallurgico bresciano sotto pressione per i debiti, è pronto a cedere il 25% a Biis, che così salirebbe al 31% della Brescia-Padova, diventandone il primo azionista, oltre che consistente creditore (135 milioni attraverso la controllata Infracom).

Intesa Sanpaolo, in attesa di chiudere il dossier per poi rilanciare, in alleanza con gli enti locali, la redditività dell'asset, ha prestato 15 milioni a Gambari prendendo in pegno le sue holding. Non solo: la Serenissima controlla il 12,7% di Autostrade Lombarde, che sommato al 39,3% già in mano a Cà de Sass fa oltre il 50% della scatola che controlla Brebemi. In questo scenario, che finora è stato dominato soprattutto da Intesa e da Cdp, un terzo protagonista potrebbe essere UniCredit. «È vero che Intesa finora si è mossa di più - osserva Dino De Poli, presidente di Cassamarca, azionista di Piazza Cordusio -, ma non farei questo genere di confronti. Per noi adesso inizia una nuova fase e naturalmente auspichiamo una maggiore attenzione per il territorio. Ben vengano nuovi investimenti nelle infrastrutture, nel nuovo corso di UniCredit».

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