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Quando il dittatore tenta l'autogolpe

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 14:20.
L'ultima modifica è del 03 ottobre 2010 alle ore 08:00.

Almeno per quanto riguarda i colpi di stato, viviamo in un mondo migliore. Le insurrezioni militari non sono più tollerate come in passato e per i capi di stato che arrivano al potere grazie alla violenza è diventato più faticoso essere accettati dagli altri paesi. È per questo che anche regimi con forti inclinazioni autoritarie fanno di tutto per mascherare la propria natura antidemocratica. Organizzano per esempio elezioni e parlamenti che tuttavia rappresentano solo una parodia dei loro corrispondenti in una vera democrazia.

Le acrobazie elettorali dell'Iran o della Russia sono validi esempi di questa tendenza mondiale. È sorprendente osservare gli sforzi di questi regimi nella convocazione delle elezioni, nonostante sia evidente che non sono disposti a cedere il potere agli oppositori.
Visto che i colpi di stato sono ormai universalmente ripudiati, per un governante non vi è benedizione politica più grande di quella di sopravvivere a un tentativo di golpe. È quanto è successo nel 2002 a Hugo Chávez in Venezuela, ed è appena accaduto a Rafael Correa, in Ecuador.

Nel caso del Venezuela gli eventi dell'aprile 2002 - quando il presidente è stato deposto per 47 ore riuscendo poi a riassumere il potere - concessero a Hugo Chávez una miniera d'oro politica che continua a offrigli ingenti profitti dentro e fuori dal paese. È naturale che nessun presidente ambisce a vivere questa situazione e che i tentativi falliti meritano la condanna internazionale che suscitano. È stato incoraggiante assistere all'immediato ripudio internazionale provocato dall'attacco contro il presidente ecuadoregno: un segnale forte per coloro che intendono raggiungere il potere con la forza.
Tuttavia, questa nuova realtà provoca conseguenze inaspettate. I benefici politici derivanti dal sopravvivere a un colpo di stato forniscono enormi stimoli a presidenti che, messi di fronte a manifestazioni e disordini di strada, ammutinamenti delle forze dell'ordine e insubordinazioni regionali, possono far apparire questi avvenimenti come diffuse cospirazioni da parte di avversari nazionali e stranieri. Questo contribuisce a giustificare la sospensione delle garanzie costituzionali, la dichiarazione dello stato d'emergenza, la limitazione della libertà di stampa, la violazione dei diritti umani e civili. Questo non significa che i leader che intendono operare profonde trasformazioni nella società non suscitino le reazioni delle frange più radicali, disposte ad assassinarli o a sovvertire il loro potere con qualsiasi mezzo. Ed è anche vero che esistono paesi che cospirano assieme ai politici locali per rovesciare il governante di turno. Ma quando i governi sfruttano queste situazioni per legittimare i propri abusi, lo scetticismo è tanto salutare e auspicabile quanto lo è il ripudio automatico dei falliti tentativi golpisti.

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Tags Correlati: Brian Nelson | Ecuador | Graziella Filipuzzi | Hugo Chávez | Rafael Correa | Venezuela

 


Il caso del golpe del 2002 contro Hugo Chávez è esemplare e ha implicazioni che superano i confini del paese. Brian Nelson è un giornalista statunitense che si è trasferito in Venezuela spinto da interesse e simpatia nei confronti delle idee di Chávez. Nelson è l'autore de Il silenzio e lo scorpione, un libro dedicato agli eventi del 2002. Il libro è stato acclamato dalla critica e l'Economist l'ha scelto come uno dei migliori libri dell'anno, definendolo «scrupolosamente obiettivo».
È importante sottolineare che il libro è stato ripudiato dai simpatizzanti del governo venezuelano. E non ci sorprende, dato che Nelson ha concluso che la breve uscita di scena di Chávez all'apice del potere non è stata dovuta a un colpo di stato premeditato, e che nessuna cospirazione organizzata per rovesciare il presidente è stata rilevata. Nelson sottolinea anche che non vi furono tentativi di colpirlo con violenza, che il governo degli Stati Uniti non fu coinvolto e che furono le milizie armate controllate da Chávez a rappresentare la principale causa delle morti avvenute quel giorno. Tutto questo contrasta con i racconti ufficiali, che tanti benefici hanno generato per il presidente venezuelano. E questi racconti non sono nati per caso. Nelson riporta come dopo pochi giorni il governo si prodigò con enormi sforzi a riscrivere la storia del "Golpe contro Chávez". Le prove degli assassinii furono distrutte, bloccati i processi giudiziari e sospesi i dibattiti in parlamento; alcuni testimoni vennero pagati ed altri messi a tacere. Una vasta campagna internazionale di "documentari", conferenze, articoli giornalistici e propaganda venne finanziata per alimentare la legittimità di Chávez.


Ancora non si sa cosa sia successo di recente in Ecuador. Secondo alcuni si è trattato dell'insurrezione della polizia, che ha violentemente protestato contro la perdita di privilegi. Secondo il presidente Correa, quanto accaduto è il frutto di una vasta cospirazione che richiederà risposte schiaccianti da parte del governo. Può essere. Abbiamo comunque imparato che in casi come questi lo scetticismo è un vigile custode della democrazia, migliore rispetto all'appoggio incondizionato dato dalle "risposte categoriche" di governi sopravvissuti a falliti tentativi imposti con la violenza.

Traduzione di Graziella Filipuzzi

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