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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2010 alle ore 10:26.
La fecondazione in vitro, che ha consentito la nascita di oltre quattro milioni di bambini nel mondo, è la tecnica che ha valso il Nobel per la Medicina 2010 al suo scopritore. Robert Edwards è oggi un vecchio signore di 85 anni, non in buona salute, ma molto felice: «La cosa più importante della vita, è di avere un bambino. Niente è più straordinario di un figlio», ha fatto sapere lo scienziato, nonno di 11 nipoti, in una nota diffusa dalla Bourn Hall Clinic, la clinica da lui fondata con Patrick Steptoe, il ginecologo morto nel 1988 con cui iniziò a sperimentare la tecnica sugli uomini.
«Noi della famiglia siamo emozionati e immensamente felici che Robert abbia vinto il premio Nobel della medicina per la fecondazione in vitro» ha fatto sapere Ruth, la moglie di Edwards, cui il comitato dei Nobel ha comunicato la bella novella, essendo il marito malato. «È una notizia fantastica», ha commentato Louise Brown, la prima bambina nata in provetta, grazie a Edwards e Steptoe, che oggi è una madre di 32 anni. «Il successo di questa ricerca - ha proseguito la moglie di Edwards - ha toccato le vite di milioni di persone in tutto il mondo. La dedizione e la determinazione di Robert hanno portato all'applicazione dei suoi studi rivoluzionari, nonostante la contrarietà piovuta da più parti».
Fin dalle prime sperimentazioni sull'uomo, gli studi di Edwards suscitarono, infatti, forti opposizioni, che il comitato nei Nobel non ha mancato di ricordare, senza però sottolineare come queste opposizioni siano ancora all'ordine del giorno in un paese come l'Italia. Dopo essere riusciti a fecondare con successo uova prelevate da alcune donne (Steptoe usò la laparoscopia, essendo uno dei pionieri di questa tecnica, che allora era nuova e pure controversa), il Medical Research Council decise di non finanziare la continuazione del progetto. Ma grazie alla donazione di un privato i due ricercatori poterono andare avanti. La fecondazione in vitro divenne allora il centro di un vivace dibattito etico, iniziato da Edwards stesso con un articolo scritto con l'avvocato David Shape che già anticipava molti dei complicati interrogativi che la medicina riproduttiva avrebbe generato.
Nonostante Edwards stesso sostenesse che la ricerca sulle cellule riproduttive umane e sugli embrioni dovesse essere svolta sotto precise linee guida etiche, e nonostante si fosse assicurato che un comitato etico fosse creato presso la Bourn Hall Clinic, il suo lavoro sulla fecondazione assistita incontrò una fortissima opposizione, da parte leader religiosi, che la consideravano immorale, dai governi, che pensavano che fosse più importante limitare la fertilità piuttosto che favorirla, e da alcuni colleghi che avevano idee differenti in merito alla sicurezza degli embrioni. «A posteriori – si legge in una nota del comitato dei Nobel – sembra incredibile che Edwards non solo sia stato capace di rispondere a tutte le critiche che lo sommersero nel corso degli anni, ma che pure sia rimasto così imperturbabile e determinato nel perseguire il suo obiettivo scientifico».