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La Cina a favore di «cambi stabili»

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2010 alle ore 10:14.

Niente rivalutazione dello yuan, ha ribadito ieri a Bruxelles la Cina rispondendo alle pressioni europee, sì invece all'obiettivo della stabilità dei cambi. Formalmente il momento della verità sulle reali intenzioni di Pechino arriverà soltanto stamattina al termine dell'incontro tra il premier Wen Jiabao e la troika europea, formata dal presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker, quello della Bce Jean-Claude Trichet e il commissario Ue Olli Rehn (che a tarda sera hanno incontrato i rispettivi omologhi cinesi).

Di fatto la risposta all'Europa che, dopo gli Stati Uniti, invoca la rivalutazione dello yuan per porre fine al dumping dell'export cinese, è arrivata forte e chiara già ieri pomeriggio con il discorso di Wen all'apertura dei lavori dell'ottavo vertice Ue-Asem, che raccoglie 46 paesi dell'Ue e dell'Asia.

Poco prima, nella bilaterale con il premier cinese il presidente francese Nicolas Sarkozy, che sarà da novembre presidente del G-20, aveva insistito sulla necessità di una riforma del sistema monetario internazionale: in soldoni sul graduale riequilibrio dei rapporti di cambio tra le principali valute, a cominciare appunto dallo yuan.

Anche Karel de Gucht, il commissario Ue al Commercio, era partito alla carica per dire che il mini-yuan «rappresenta un vero problema» per l'Europa, pur ammettendo di nutrire «seri dubbi sull'efficacia delle pressioni internazionali, convinto che saranno invece quelle interne con il tempo a indurre Pechino a rettificare il valore della moneta».

Lapidario Juncker: «Siamo convinti che lo yuan sia totalmente sottovalutato». Wen Jiabao non ha fatto una piega. «Dobbiamo lavorare insieme per mantenere i tassi di cambio delle principali valute relativamente stabili. Per promuovere la crescita mondiale e coordinare una rapida exit strategy» dai programmi di rilancio varati durante la grande crisi. E già che era in argomento non ha mancato di lanciare una frecciata all'Europa che le rimprovera il protezionismo monetario: «Meglio evitare misure antidumping, meglio cooperare tra noi a sostegno del commercio globale invece che ricorrere al protezionismo».

Alla vigilia degli incontri del G-7 a Washington e a un mese dal vertice del G-20 di Seul continua dunque il sonoro dialogo tra sordi sulle monete. La Cina, che in giugno poco prima del G-20 di Toronto aveva stupito il mondo annunciando un'iniezione di flessibilità nel cambio dello yuan per dimenticarsene subito dopo, ora non fa nemmeno finta di prestare l'orecchio ai ripetuti appelli di Stati Uniti ed Europa. Cooperazione va bene, dice, ma il cambio non si tocca perché a rimetterci sarebbero le imprese cinesi a rischio di fallimenti a catena. Dunque l'Occidente si rassegni: non sarà Pechino a tendergli la mano per permettergli un facile recupero di occupazione e competitività globale.

Tags Correlati: Asia | Bce | Europa | Jean-Claude Juncker | Jean-Claude Trichet | Karel de Gucht | Nicolas Sarkozy | Politica | Stati Uniti d'America | Ue Olli Rehn | Wen Software |

 

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