Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2010 alle ore 08:00.
Almeno sarà chiaro qual è l'agenda che occorre al paese. I rappresentanti delle 17 sigle tra imprenditoriali e sindacali che ieri si sono riunite nella sede dell'Abi hanno avuto una sola voce per dire che servono misure per sbloccare le infrastrutture, prorogare gli ammortizzatori sociali e detassare ulteriormente gli straordinari, dare più certezze previdenziali ai lavoratori in mobilità, rendere più fluido il credito verso le piccole imprese, inventare un piano per il Sud.
Ci sono quasi 500mila cassintegrati a rischio; c'è un paese che usa solo il 56,9% del proprio capitale umano, dove aumentano le persone che non cercano nemmeno più un lavoro, ma si abbandonano alla disperazione o al sommerso. C'è un'Italia dinamica, terra di eccellenze e genialità individuali, di casi da guinness dei mercati, ma c'è un paese – in generale – dove la produttività non cresce da anni e viene surclassata dai competitori europei (per tacere dei paesi newcomers). C'è un esercito di imprenditori che scruta l'orizzonte in cerca del minimo di fiducia nel futuro necessaria a sbloccare gli investimenti.
C'è un mondo di imprese che aspetta anche tre anni per essere pagato dal cliente stato o ente locale; un tessuto di Pmi che "paga" la stretta sulle regole contabili per la stabilità delle banche costretta ad aumentare la patrimonializzazione a discapito degli impieghi. C'è una società intermedia, fatta di associazioni d'impresa e di lavoratori, che cerca una nuova via del dialogo senza più frammentazioni o strappi. Per questo sono stati importanti i toni usati dai convenuti ieri sera, Cgil compresa. E le ambizioni strategiche. Le parti sociali svolgono bene il loro copione: creano quel tessuto di fiducia reciproca e di dialogo fondamentale per dare impulso alle scelte virtuose della politica economica. Purché si facciano, queste scelte. Ieri è stato nominato finalmente il ministro mancante: ora arriva Paolo Romani e contiamo che con rigore saprà sedare le polemiche che hanno circondato la sua candidatura. Servirebbe soprattutto una nuova riforma fiscale, un nuovo "patto degli onesti" per riequilibrare un carico ormai insostenibile, togliendo le sanguisughe dai polpacci del lavoro dipendente e dell'impresa. Le parti sociali il passo lo stanno facendo, con serietà. Ora tocca al governo. Sempre che non si voti a gennaio. Perché allora sarà stato tutto uno scherzo.