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Troppe divisioni sul network

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 08:03.

MILANO - Poca cooperazione e ognuno per la sua strada. Meglio di niente, sia chiaro, ma a due anni dalle prime dichiarazioni d'intenti l'approccio "ecumenico" sulla banda ultralarga sembra naufragato. Eppur (qualcosa) si muove. Lo dimostrano le offerte separate degli operatori: Fastweb, il primo a muoversi verso i 100 mega, quindi Telecom Italia e infine Vodafone, che ieri ha annunciato un investimento di 1 miliardo presentando un piano per la banda larga mobile via radio (si veda l'articolo a fianco). In questa intervista al Sole 24 Ore il presidente dell'Agcom, Corrado Calabrò, che oggi sarà presente a Capri al convegno organizzato da Between, spiega come sta cambiando il mercato dei media vecchi e nuovi, dopo l'audizione al Senato di ieri.


Partiamo dall'Ngn. Dopo mesi di dibattito arrivano le prime offerte commerciali.
Il mercato sta dando segnali di forte interesse per le aree metropolitane, ovviamente le più ricche. E qui va riconosciuto il merito a Fastweb di aver avviato per prima la commercializzazione del servizio a 100 mega, stimolando Telecom Italia e gli altri concorrenti a imitarla.

L'ex monopolista che "imita" un operatore alternativo.
Dopo tanti annunci Telecom ha finalmente un piano ben definito, che è entrato nella fase operativa e in alcune delle principali città italiane – in particolare Roma, Milano, Torino, Bari – si profila una concorrenza tra reti diverse. Che il mercato si muova è certamente un bene, anche perché la fibra non è necessaria solo per la rete fissa, ma anche per il backhauling delle stazioni radio. La rete mobile sta registrando un incremento esponenziale del traffico dati e deve essere potenziata per far fronte alla crescente domanda di servizi legati a smartphone e "chiavette".

Cosa ne pensa dell'impegno sempre maggiore dei cinesi di Huawei in Italia con Vodafone e della nuova offerta sulla banda larga mobile?
Sono annunci che fanno piacere, ma non posso non rilevare che Vodafone è un operatore presente in tutto il mondo, per il quale l'Italia rappresenta uno dei paesi con maggiori ricavi: oltre 8 miliardi con un ebitda di oltre 4 miliardi. Va bene l'impegno nella banda larga mobile, ma rimane l'ammontare assolutamente modesto dei suoi investimenti strutturali nella rete fissa.

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Tags Correlati: Annozero | Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCom) | Cdp | Corrado Calabrò | Fastweb | Francesco Vatalaro | Internet | Lombardia | Michele Santoro | PDL | Roma | Telecom | Vodafone

 

Nella partita della banda larga si è sempre parlato di un possibile intervento della Cassa depositi e prestiti. In che condizioni oggi la Cdp potrebbe investire?
Per centrare gli obiettivi dell'Agenda digitale europea sono necessari accordi coordinati a livello nazionale tra operatori di telecomunicazioni, amministrazioni e altri eventuali imprenditori, finalizzati alla progressiva conversione alla fibra di determinate aree territoriali. Accordi del genere sono già in atto in alcune realtà locali più virtuose come Trentino e Lombardia. Ciò darebbe al progetto anche prospettive di redditività con il carattere di certezza tipico delle utilities e aprirebbe la porta al finanziamento di investitori istituzionali come la Cassa depositi e prestiti.

Come giudica gli sforzi del tavolo Romani?
È la piattaforma giusta al momento giusto, ma non ha un compito facile. Il progetto Italia stenta ad affermarsi anche nella visione dei singoli partecipanti al tavolo che muovono non solo da diverse idee di rete, ma anche in un clima di eccessiva tensione tra gli operatori e di esclusivo interesse per l'utile immediato. Siamo all'inizio di un percorso nel quale si vedono i primi risultati. Ogni passo in avanti, per quanto limitato, non può che essere apprezzato: poter disporre di un modello di sviluppo condiviso per una partnership pubblico-privato agevolerebbe molto il percorso di definizione delle nuove regole per le reti Ngn che l'Agcom si accinge a varare.

Cosa ne pensa delle linee guida del professor Francesco Vatalaro?
Il professor Vatalaro è un ottimo tecnico messo di fronte a un compito divenuto non solo tecnico, in un clima acceso. La sua relazione conclusiva, con tutti i contributi pervenuti, è utile ma ha carattere solo consultivo. Come Agcom abbiamo delineato un percorso autonomo, tenendo nel massimo conto la Raccomandazione comunitaria e avvalendoci di tutti i contributi, sottolineo tutti (circa mille pagine), forniti nell'ambito del Comitato Ngn. Lo schema dell'Autorità riguarderà le tariffe d'accesso sia per le infrastrutture passive che per i servizi Ngn, un premio di rischio per il capitale investito, condizioni di favore per gli investimenti condivisi, la garanzia della parità di condizioni per le infrastrutture comuni. E poi la transizione dal rame alla fibra.

Parliamo di ultimo miglio. Gli operatori alternativi puntano il dito contro l'autorità e dicono: come si può parlare di scommessa sulla fibra e poi rendere più redditizio il rame con l'aumento dei costi dell'unbundling?
È una polemica del tutto strumentale. La manovra – ancora all'esame di Bruxelles – riguarda un aggiustamento tecnico di modesta entità: 33 centesimi di aumento rispetto al 2003. Molto meno dell'aumento del costo della vita. La rimodulazione prevista per i canoni unbundling prevede un incremento medio rispetto alla media 2009 limitato all'1,65% (da maggio 2010 sarà di 8,70 euro) e alla fine del periodo interessato si potrà determinare un incremento di 99 centesimi, pari ad una variazione dell'11,66% del canone. Ho detto "si potrà determinare" non a caso. Solo per il 2010, infatti, l'aumento è automatico; per gli anni a venire gli incrementi in tariffa potranno essere riconosciuti solo dopo verifica da parte dell'Autorità del miglioramento qualitativo della rete di Telecom Italia, della riduzione del numero dei guasti e dei tempi di attivazione dei servizi. In tutto una manovra da 70 milioni. Il miliardo e cento milioni di cui parlano gli operatori alternativi è una cifra priva di qualsiasi fondamento.

Passiamo alla tv. A che punto è il piano delle frequenze? Le piccole emittenti si lamentano.
Quando nel 2006 ci presentammo a Ginevra per la ripartizione del radiospettro in sede europea, sa quante frequenze analogiche risultavano utilizzate in Italia? Zero. Invece ne utilizzavamo 24mila, ma nessun Governo si era curato di comunicarlo all'unione internazionale delle tlc. A gran fatica abbiamo ottenuto 3.943 frequenze per la conversione dall'analogico al digitale. Un piano che prevede 16 reti, con copertura dell'80% del territorio da destinare alla conversione delle reti nazionali analogiche e digitali esistenti, cinque reti da destinare al beauty contest per cinque nuovi multiplex nazionali e quattro reti per servizi innovativi (Dvb-h e Dvb-t2). Si tratta di circa il 50% delle risorse frequenziali, destinate all'emittenza nazionale. Il rimanente 50% va in larga parte all'emittenza locale. Non credo si possa sostenere che le tv locali siano state sottovalutate. Piuttosto, puntiamo a liberare frequenze tv per metterle all'asta nel 2011 a favore dei big della telefonia.

Su Annozero, la trasmissione di Michele Santoro, avete aperto una verifica dopo l'esposto Pdl.
Riceviamo frequentemente esposti e abbiamo sempre respinto le richieste di censura preventiva. Sugli esposti la struttura esegue valutazioni preliminari per verificare se esistono o no i presupposti per l'apertura di un'istruttoria. Siamo in questo stato per tutti gli esposti presentatici.
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