Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 08:01.
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
«Il Premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo? Davvero? Sono contento, anche se francamente non so chi sia questo signore». Per i cinesi della strada il day after la decisione del Comitato di Oslo di assegnare il Nobel per la Pace al dissidente condannato a 11 anni di carcere per istigazione alla sovversione contro i poteri dello Stato è un giorno come un altro. D'altronde è difficile festeggiare, rallegrarsi o anche solo commentare un evento se si è completamente all'oscuro dei fatti. Già, perché il Nobel per la Pace a Liu Xiaobo per la stampa cinese non esiste. Ieri i media del Dragone hanno completamente ignorato la notizia, sebbene questa campeggiasse sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Non una sola riga sui quotidiani. Non una sola parola dalla televisione di Stato, la stessa televisione che per onor di bandiera tutte le domeniche, anziché trasmettere le partite del campionato italiano di calcio (di cui ha pagato profumatamente i diritti), propina puntualmente al pubblico le commoventi immagini in dissolvenza dei campioni cinesi trionfatori alle Olimpiadi di Pechino.
Ma se un sollevatore di pesi che due anni fa ha vinto una medaglia d'oro ai Giochi è un orgoglio nazionale di cui andare fieri da qui all'eternità, un dissidente nemico del partito unico che crede nei valori universali fino al punto di farsi sbattere in galera per 11 anni è una vergogna nazionale. «Liu Xiaobo è un criminale che ha violato la legge», ha tuonato a caldo Pechino dopo il verdetto di Oslo. E così sia. Tanto vale non raccontarlo a nessuno.
Ma la Cina è grande, e la fitta rete stesa dal Grande Fratello per tenere sotto controllo l'informazione non è impenetrabile. Con tempismo perfetto Pechino può oscurare Cnn e Bbc proprio mentre le grandi emittenti internazionali passano la notizia del Nobel per la Pace. Ma nell'era di internet, i censori della nomenklatura non possono impedire ai cinesi stufi di trangugiare la stucchevole minestra mediatica di regime di andarsi a cercare le notizie altrove tramite le cosiddette virtual private networks (un sistema che, per poche decine di dollari l'anno, consente di aggirare la censura e connettersi a tutti i siti del mondo tramite un server straniero).