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Fini: non c'è l'identità padana

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 08:03.


ROMA
Federalismo, giustizia, riforma della legge elettorale: eccoli i tre punti su cui si gioca il futuro della legislatura. Roberto Calderoli ieri ha annunciato che la prossima settimana vedrà Gianfranco Fini per un confronto sui decreti attuativi approvati a Palazzo, ma dall'entourage del presidente della Camera fanno sapere che l'appuntamento con il ministro della Lega «non risulta in agenda». Gianfranco Fini non è intenzionato a chiudere la partita con un faccia a faccia. Il presidente della Camera attende che i provvedimenti sbarchino nella bicamerale prima di scoprirsi. Intanto avverte che il federalismo, pur essendo una scelta «irreversibile» e «irrinunciabile» non può essere uno «slogan», un manifesto privo di «pesi e contrappesi», tantomeno un «nostalgico guardare indietro alle piccole patrie preunitarie» o al «fascino di un'inesistente identità padana». Chiaro il riferimento alla Lega. «Negare l'identità padana è come dire che la Terra è piatta», è la replica di Calderoli.
Intervenendo prima al consiglio regionale e poi alla scuola per la democrazia della Valle d'Aosta, Fini ieri ha ribadito che il federalismo deve essere anzitutto «solidale» più che «competitivo», sottolineando che non può esserci alcuna disparità di trattamento tra i cittadini nella fruizione dei «servizi essenziali». Per questo – ha aggiunto – «occorre procedere con la massima cautela e svolgere tutte le verifiche opportune» tanto sull'adozione dei costi standard che sul fondo perequativo. Non è mancato poi un passaggio su un altro tema caldo come immigrazione e cittadinanza: «I diritti fondamentali» non possono essere messi in discussione, perché gli immigrati regolari o no restano comunque persone e la cittadinanza non va vista come uno «status» ma come «appartenenza» a una comunità. Quanto alla legge elettorale, ha ribadito che va cambiata, «possibilmente in questa legislatura», per consentire agli elettori di scegliere gli eletti.
Ma è la giustizia il principale argomento di dissenso tra finiani e berlusconiani. Ieri in un'intervista pubblicata da Libero, il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha rilanciato il Lodo Alfano («dal '94 c'è un uso sistematico della giustizia contro Silvio Berlusconi», per cui serve «mettere al riparo dagli abusi il presidente del consiglio e le massime cariche dello Stato»), lasciando il «processo breve» come «soluzione di riserva» mentre le intercettazioni restano sullo sfondo. Una strategia confermata anche dal guardasigilli Angelino Alfano che ieri, dopo aver rilanciato all'assemblea dell'Osce il «piano corruzione», ha fatto esplicito riferimento ai cinque punti indicati da Silvio Berlusconi in Parlamento. La posizione dialogante di Cicchitto non è sfuggita al falco finiano Fabio Granata: «Apprezzo le parole di Cicchitto anche se devo rilevare che nel Pdl non c'è unicità di voci».

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Probabile che Granata si riferisse a quanto sostenuto dall'omologo di Cicchitto al Senato, Maurizio Gasparri, che è tornato a puntare l'attenzione sul processo breve: «La legge sulla certa durata dei processi è già stata approvata al Senato, il presidente Berlusconi ne ha parlato nel discorso sulla fiducia, quindi chi ha votato la fiducia conosceva il tema di una complessiva riforma della giustizia, che in parte è già stata attuata e in parte è da attuare con questa legge e con la riforma costituzionale». Ma Fini non potrà concedere domani quel che ha negato ieri, ovvero l'applicazione del processo breve anche ai procedimenti in corso, che di fatto provocherebbe la cancellazione di centinaia di migliaia di processi.
Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno dalla prossima settimana entreranno nel vivo della trattativa. La stessa settimana in cui dovrebbe arrivare la riconferma dei presidenti delle commissioni parlamentari, compresa la Bongiorno alla giustizia che dovrebbe passare nonostante il boicottaggio dei falchi del Pdl.
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