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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2010 alle ore 08:50.
Il rally dei prezzi agricoli non si ferma. Dopo le fiammate registrate venerdì, ieri i cereali hanno subìto nuovi rincari: colpa dei timori di una drastica frenata nella produzione mondiale, ma anche di una speculazione che sembra aver trovato facili obiettivi su cui riversarsi. Al Chicago Board of Trade (Cbot) le quotazioni del mais hanno così toccato i massimi da due anni, chiudendo a 5,55 dollari per bushel (+5,2%) e mettendo a segno un balzo del 15% a partire da venerdì. E non è finita: gli analisti sono convinti che le quotazioni possano raggiungere i 6 dollari per bushel, un livello visto solo durante la bolla delle commodity di tre anni fa.
Il rincaro del mais non è passato inosservato: la commodity agricola ha dato nuovo slancio ai prezzo del frumento che, prima di chiudere a 7,09 dollari per bushel, è salito dell'1,5%. In rialzo hanno chiuso i semi di soia (11,79 dollari/bushel, +3,9%) e l'olio di palma. Il cotone (+3,3%), che da settimane sta proseguendo il trend rialzista, ha riaggiornato il suo record da 15 anni. Come in un infinito gioco di specchi, l'ulteriore effetto collaterale di questi rincari si è trasferito sul mercato dell'industria zoofila. L'accelerazione dei prezzi dei cereali foraggeri, principale fonte di alimentazione per gli allevamenti, rischia di scatenare una corsa al rialzo dei prezzi delle carni di bovini e ovini, visto che gli stessi produttori già oggi lamentano l'esiguità di margini.
Ad infiammare i prezzi, secondo molti osservatori, è stato l'annuncio fatto nei giorni scorsi dal dipartimento Usa per l'Agricoltura: nel suo rapporto mensile l'ente governativo americano, ritenuto dagli operatori come il termometro più attendibile dello stato di salute di uno dei maggiori fornitori agricoli mondiali, ha infatti ridotto drasticamente le previsioni sui raccolti. Spingendo così a una raffica di acquisti da parte degli operatori.
Chi vuole dare una lettura più maliziosa della vicenda, parla invece più apertamente di fiammata speculativa. Un sondaggio condotto da Harris Poll mette in luce come quasi la metà degli operatori attivi sui mercati europei delle commodity neghi il peso delle siccità, degli incendi e più in generale dei fattori ambientali, come possibile causa degli attuali rincari. Il 49% di essi, al contrario, individua negli investimenti a fini speculativi il vero driver dei rialzi.