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Gli ostacoli italiani al prestito d'onore

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2010 alle ore 08:02.

Uno dei punti più interessanti (e più qualificanti) della riforma universitaria Gelmini, in questi giorni all'esame della Camera, riguarda il cosiddetto Fondo per il merito. In particolare, riguarda la possibilità che studenti meritevoli ma poco abbienti si vedano offrire dalle università "buoni studio" da restituire dopo il conseguimento del titolo. In sostanza, la riforma Gelmini prevede di creare anche in Italia quelli che nel sistema universitario anglosassone vengono definiti "prestiti d'onore".
A suo tempo, il leader laburista Tony Blair si giocò una fetta non piccola della sua credibilità di premier del Regno Unito incrementando il sistema dei prestiti d'onore: a fronte di un considerevole aumento delle tasse d'iscrizione all'università, offrì agli studenti la possibilità di farsi prestare anche l'intero importo delle loro tasse universitarie, da restituire nel tempo attraverso un piano di ammortamento simile a quello di un mutuo sulla casa. Attualmente, il sistema britannico degli student loans vive una fase di crisi. Resta il fatto che, nel corso dell'ultimo decennio, oltre un milione di ragazzi del Regno Unito provenienti da ambienti disagiati hanno potuto accedere all'insegnamento superiore attraverso il dispositivo del prestito d'onore.
Ciò che rende il sistema dei prestiti virtuoso in teoria, meno virtuoso nella pratica, è la rigidità relativa delle clausole di ammortamento. È chiaro che la possibilità concreta di rimborsare varia secondo lo status economico e sociale della persona indebitata. Un conto è pagare da neolaureati, altro conto è farlo da professionisti ormai avviati. Soprattutto, un conto è pagare quando si ha un lavoro decentemente retribuito, tutt'altro conto è pagare quando non lo si ha.
Esperimenti di "prestiti fiduciari" sono stati tentati dalle università anche in Italia, a partire dal 2003. Ma i fondi stanziati sono rimasti in parte inutilizzati, a causa di una clausola che obbligava lo studente debitore ad avviare il rimborso del prestito già all'indomani del conseguimento del titolo. In sostanza, nelle esperienze italiane realizzate fino a oggi, i neolaureati alla ricerca di un impiego (dunque disoccupati) dovevano pagare allo stesso titolo che i neo-occupati: una situazione che non poteva contribuire al successo della formula.

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Italia | Riforma | Tony Blair

 

La riforma Gelmini rimedierebbe al problema, ma soltanto in parte. Il disegno di legge prevede infatti che il prestito sia da restituire – come in passato - «a partire dal termine degli studi». In compenso, la legge prevede che la restituzione avvenga «secondo tempi parametrati al reddito percepito». Se definitivamente approvata, la riforma Gelmini garantirebbe quindi all'ex studente la possibilità di rimborsare in funzione delle sue capacità economiche. Ma lascerebbe irrisolto il problema dell'obbligo di rimborsare già all'indomani della laurea.
Di là da questo, la sostenibilità dei prestiti d'onore – questione strategica per ogni paese che voglia sottrarre il "diritto allo studio" alla sfera della retorica – non dipende soltanto da un rapporto binario università-studente, né soltanto da un rapporto triangolare che include la mano pubblica. Dipende necessariamente da un coinvolgimento positivo di altri soggetti, a cominciare dagli istituti di credito.
Del resto, in Italia l'erogazione di fondi agli studenti meritevoli ma non abbienti sembra scontrarsi anche con ostacoli meno immediatamente tecnici o politico-finanziari. Si scontra con una cultura diffusa che rimane ostile all'idea stessa di indebitamento. A titolo privato, si sa, gli italiani sono uno dei popoli meno indebitati del mondo (né ci lamenteremo di questo!). E i ceti sociali meno favoriti non sembrano pronti a derogare al sacrosanto principio del "niente debiti" neppure per accedere all'insegnamento superiore.
Detto altrimenti, l'erogazione di fondi per il merito si scontra, qui da noi, con una radicata ritrosia all'investimento in formazione. Gli italiani sono bravissimi a comprarsi case, scommettendo sul famoso mattone; sono assai meno bravi a investire sulla qualità dell'insegnamento impartito ai loro figli. E anche per questo, la faccenda dei prestiti d'onore è una questione cruciale: perché ne va dell'idea stessa che abbiamo di noi, del vero "merito" e dell'importanza degli investimenti "immateriali".
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Sergio Luzzatto

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