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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2010 alle ore 11:31.
«Questi teppisti non rappresentano i sentimenti e il comportamento del popolo serbo. Ci vergogniamo e ci scusiamo». Sono le parole dell'ambasciatore serbo a Roma, la signora Sanda Raskovic-Ivic, che ha commentato con i giornalisti i disordini di ieri a Genova che hanno portato alla sospensione della partita Italia-Serbia. Stessa posizione espressa dal vicepremier di Belgrado, Bozidar Djelic, secondo il quale «questo non è quello che vuole nè il popolo nè il governo serbo e mille hooligan non rappresentano 10 milioni di persone».
Djelic - parlando con i cronisti a Belgrado - ha affermato che la Serbia sta conducendo una «forte azione per sradicare il fenomeno degli ultrà» e esprimendo le «scuse» a Roma ha sottolineato che «non lasceremo che questi teppisti rovino le relazioni con l'Italia».
Per il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, in visita ufficiale a Belgrado, l'episodio è stato «un clamoroso autogol per la Serbia» e dopo le violenze di ieri sera il cammino di Belgrado verso l'Unione Europea è «più complicato». «Mi pare verosimile ipotizzare una stessa regia che lega gli incidenti del gay pride di domenica a Belgrado e i fatti di Genova: c'è qualcuno che vuole ostacolare l'ingresso della Serbia in Europa, e sta facendo di tutto per ostacolarne la strada», ha detto Mantica ai microfoni di Radio 24.
Ma in Italia, e a Genova in particolare, monta anche la polemica su come è stata gestita la sicurezza allo stadio. «Perchè sono stati fatti entrare gli ultras?», chiede il sindaco del capoluogo ligure Marta Vincenzi, che poi attacca: «C'è uno squilibrio piuttosto considerevole tra i meccanismi che il ministro Maroni ha messo in atto con la tessera del tifoso che porta ad avere centinaia di poliziotti in stato di antisommossa in partite abbastanza tranquille e poi si consente questo. Non capisco bene a cosa servano gli strumenti di cui ci dotiamo».