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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2010 alle ore 21:41.
Cinque anni fa, il 9 ottobre 2005, il matematico Benoit B. Mandelbrot insieme a Nassim N. Taleb ( l'autore del fortunato saggio "Il Cigno nero" ) scriveva per Il Sole 24 Ore Domenica l'articolo che qui proponiamo. Il matematico, padre dei frattali, avvertiva il mondo dell'economia e della finanza a fare attenzione. La grande crisi finanziaria non era ancora scoppiata e Mandelbrot diceva che i guru della finanza facevano un uso improprio dei concetti probabilistici. Ma non si fermava qui: dava insieme a Taleb istruzioni per non farsi travolgere dal disordine dei mercati, sempre più rischiosi di quanto possiamo pensare.
I vostri soldi sono a rischio. Non importa in che cosa li avete messi - azioni, obbligazioni, derivati, fondi comuni d'investimento, immobili, rendita e persino materasso - c'è sempre la possibilità che li perdiate o perdiate un'occasione migliore. Chiunque vi dica il contrario è un idiota o un truffatore. Poi ci sono quelli che vi avvertono dei rischi, però li impacchettano in una misura numerica semplice che sembra contenerli entro confini gestibili. Quelli sono ancora più pericolosi. Il rapporto annuale del vostro fondo, per esempio, cita forse una misura di rischio (chiamata solitamente beta). Vorreste sapere infatti quali rischi corre il fondo, ma quel numero non ve lo dice. Né lo dicono altre quantità che la pseudoscienza della finanza tira fuori dal cilindro: deviazione standard, indice di Sharpe, varianza, correlazione, alfa o addirittura modello di Black-Scholes per stimare il valore dei contratti di opzione. Il problema, con tutte quelle misure, è che sono costruite su un congegno statistico detto curva a campana. Questo significa che ignorano le grandi mosse del mercato, si concentrano sull'erba e perdono di vista gli alberi (giganteschi). Deviazioni rare e imprevedibili come il crollo delle azioni Enron nel 2001 o l'aumento spettacolare delle azioni Cisco negli anni Novanta hanno un impatto spettacolare sui rendimenti a lungo termine, ma il "rischio" e la "varianza" li ignorano.
I professori che sulla curva a campana campano l'hanno adottata per comodità matematica, non per realismo. Essa dice che quando si misurano le cose del mondo, si ottengono valori oscillanti attorno alla media e che le divergenze cospicue dalla media sono talmente rare da essere trascurabili. Tanta attenzione alle medie funziona benissimo nel caso delle variabili fisiche quotidiane, l'altezza e il peso per esempio, non per la finanza. Possiamo trascurare la possibilità che una persona sia alta un chilometro o pesi una tonnellata, ma nella vita economica simili eccessi non sono mai del tutto esclusi. Dopo la Prima guerra mondiale e il calo della moneta tedesca da quattro a quattro miliardi di marchi per un dollaro, gli economisti dovrebbero aver imparato a diffidare della curva a campana. Oggi Google si accaparra gran parte del traffico di Internet e Microsoft le vendite di software per i personal computer; su un milione di manoscritti inviati agli editori, i best-seller sono una manciata. L'un per cento della popolazione americana guadagna quasi 90 volte ciò che guadagna il 20% dei meno abbienti e metà della capitalizzazione del mercato azionario - circa 10mila aziende - sta in meno di 100 grandi società.