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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 06:37.
Rimettere mano alla legge Vassalli. Per rafforzare le sanzioni, almeno sul piano civile, al magistrato che sbaglia. Nel progetto di riforma costituzionale che il ministero della Giustizia si accinge a presentare in Consiglio dei ministri, insieme alla separazione delle carriere e divisione del Csm, accanto alle disposizioni sulla Corte costituzionale, troverà probabilmente spazio anche una stretta sulla responsabilità dei magistrati.
Quanto necessaria poi è tutto da verificare. Soprattutto alla luce dei dati disponibili che testimoniano come nel biennio 2007-2008 si sia assistito a una vera e propria esplosione dei provvedimenti di accoglimento delle richieste avanzate dai cittadini. Il 2008 da solo, con 109, fa totalizzare più di tutti i procedimenti dei 5 anni precedenti. La tripla cifra appare così per la prima volta in un bilancio della legge n. 117 del 1988 con la quale venne recepito l'esito del referendum che si era tenuto l'anno precedente.
Un referendum che, abbinato ad altri, tra cui quello sul nucleare, ottenne una larghissima percentuale di sì, oltre l'80 per cento. «Effetto Tortora» si commentò allora, sottolineando lo scalpore che fece presso l'opinione pubblica la vicenda giudiziaria che condusse in carcere il presentatore televisivo, sulla base di accuse rivelatesi, ma solo a distanza di anni, del tutto prive di fondamento. La legge poi, approvata per inserire nel nostro ordinamento il principio di responsabilità per il magistrato che commette un grave errore per dolo o colpa grave, prese il nome dall'allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli, ma da subito si rivelò in buona parte depotenziata per il tentativo di fare convivere la volontà dei votanti con la necessità di assicurare l'indipendenza della magistratura.
Come molte norme indirizzate a bilanciare principi tra loro confliggenti, anche questa ha peraltro presto mostrato la corda. Merito o colpa del meccanismo un po' barocco introdotto, sulla base del quale, a dovere essere chiamato in giudizio per rispondere del presunto errore non è direttamente il magistrato, quanto lo stato. Il cittadino infatti non può fare causa al giudice o al pubblico ministero, ma deve proporre l'azione contro l'amministrazione della giustizia, chiedendo il risarcimento del danno. Se la richiesta, al termine del procedimento giudiziario, viene accolta, il ministero della Giustizia potrà rivalersi sulla toga. Con quali effetti? In pratica nulli, perché la quasi totalità dei magistrati è comunque coperta da una specifica polizza accesa in quanto aderenti all'Anm.