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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2010 alle ore 09:34.
Lea Garofalo, 35 anni, ex-collaboratrice di giustizia scomparsa a Milano nel novembre 2009 è stata uccisa e sciolta nell'acido in un terreno a San Fruttuoso, vicino a Monza. È il drammatico scenario che emerge dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal procuratore aggiunto di Milano Alberto Nobili e dai pm Marcello Tatangelo (dda) e Letizia Mannella. I carabinieri hanno eseguito sei arresti tra Lombardia, Calabria e Molise e sono ancora in corso delle perquisizioni.
Il provvedimento del giudice descrive l'omicidio della donna, che sarebbe stata anche interrogata dai suoi assassini, come una vera e propria «esecuzione». Dei sei provvedimenti, due sono stati notificati in cella a Carlo Cosco, ex convivente della donna - dalla relazione è nata una figlia che all'epoca dell'omicidio aveva 16 anni - e a Massimo Sabatino.
I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio del 2009, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti, a partire dal 2002, contro alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone).
Gli altri quattro destinatari del provvedimento del giudice Gennari sono i fratelli di Carlo Cosco, Giuseppe detto Smith (gli è stato contestato anche lo spaccio di stupefacenti) e Vito detto Sergio, e altre due persone, una delle quali accusata solo di distruzione di cadavere.
Carlo Cosco avrebbe organizzato l'agguato alla Garofalo mentre questa si trovava a Milano con la figlia e, proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, ha attirato la sua ex nel capoluogo lombardo. A dare l'allarme per prima per la sparizione della donna era stata proprio la figlia della Garofalo e di Cosco.
Almeno quattro giorni prima del rapimento, Cosco ha predisposto un piano, contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove la donna è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla «con un colpo», sia il magazzino o il deposito dove interrogarla e, infine, l'appezzamento dove si ritiene sia stata sciolta nell'acido. La distruzione del cadavere, per inquirenti e investigatori, ha avuto lo scopo di «simulare la scomparsa volontaria» della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione identificati in Vito e Giuseppe Cosco, ai quali Lea Garofalo è stata consegnata dagli altri due complici destinatari dell'ordinanza e indicati come i rapitori.