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Segnali di distensione verso il G-20 in Corea

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 09:35.

L'attenzione dei mercati valutari è già fissata sul G-20 del prossimo weekend in Corea e, come sempre quando c'è una grande aspettativa che ministri finanziari e governatori producano qualche risultato, l'instabilità - lo ha dimostrato la giornata di ieri - è più forte. Anche perché le aspettative sono in questo caso bilanciate da un notevole scetticismo degli operatori sulla possibilità che dal G-20 possa uscire molto di più che una delle solite dichiarazioni che le autorità sono contrarie a volatilità eccessiva e oscillazioni troppo brusche. In quella che è stata etichettata come la "guerra delle valute", le posizioni, quasi alla vigilia della riunione, restano molto distanti, anche se a parole c'è il tentativo di evitare uno scontro. Altre turbolenze valutarie potrebbero seguire se il G-20 non fornirà segni concreti di una tregua.

La settimana si è aperta ieri con il primo rialzo del dollaro dopo un'ottava in picchiata, ma il recupero è durato poche ore. L'imminenza di un incontro internazionale è sempre una buona scusa per ricoperture, specie se nei giorni precedenti si è affermata una tendenza ben precisa. La valuta Usa ha fatto un rimbalzino sull'euro fino a 1,38 nella seduta europea, per poi scivolare di nuovo al di là di quota 1,39 a New York, oltre i livelli di venerdì. All'incertezza sui risultati del G-20, si è aggiunta quella sulle modalità del nuovo allentamento della politica monetaria Usa (QE2, nella sigla inglese) annunciato dal presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke.
Le ultime mosse prima del G-20 sono conciliatorie. Il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, ha rinviato il rapporto al Congresso sulla possibile manipolazione del mercato da parte di Pechino, per tenere basso il cambio e favorire l'export. La Cina dal canto suo ha accelerato il ritmo della rivalutazione, che, seppur giudicata tuttora insufficiente dai principali partner, Stati Uniti in testa, è stata di un 2,4% dall'inizio di settembre.

Diversi osservatori di mercato dubitano che questo continuerà molto a lungo dopo il vertice dei capi di Stato e di Governo del G-20 a novembre a Seul. Si tratta, afferma qualcuno, di un copione recitato spesso in passato, nell'imminenza di incontri internazionali, dal Giappone, quando era la sua politica del cambio a trovarsi nel mirino degli americani: fare qualche limitata concessione alla alla vigilia, per poi riprendersele dopo i vertici. Inoltre, secondo Mark Williams, di Capital Economics, «la banca centrale cinese avrà difficoltà a mantenere molto a lungo questi ritmi di rialzo. Anzi tutto, vuole evitare di dare l'impressione che la rivalutazione dello yuan sia una scommessa a senso unico, per la preoccupazione che questo attiri capitali speculativi. Quindi è possibile che lo yuan si indebolisca un po' una volta passato il G-20. E poi il rallentamento della crescita dell'export, dal 25% annuo di settembre al 10% che prevediamo per metà 2011, costringerà le autorità a prestare attenzione alle lamentele degli esportatori, che hanno una certa capacità di pressione».

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Tags Correlati: Asia | Ben Bernanke | Bilancia commerciale | Federal Reserve | Fmi | Mark Williams | Ministero del Tesoro | Stati Uniti d'America | Tim Geithner | Yi Gang |

 

Per ora, Yi Gang, vicegovernatore della Banca centrale, ha ripetuto ieri il verbo di Pechino, che la riforma dello yuan è «un processo graduale». Yi è intervenuto a una conferenza organizzata a Shanghai insieme al Fondo monetario, dove l'accento, più che sulle valute, era sul ruolo delle banche centrali nelle politiche macroprudenziali per la stabilità finanziaria. Allo stesso incontro (che ha fatto seguito a uno analogo in Corea a giugno e rientra negli sforzi dell'Fmi di riacquistare crediblità nella regione, dopo le frizioni con molti paesi sulla gestione delle crisi asiatica di fine anni 90), il direttore del Fondo, Dominique Strauss-Kahn, ha fatto appello a quello spirito di cooperazione internazionale che ha prodotto i migliori risultati al culmine della crisi, ma che ora sembra svanito. Strauss-Kahn ha notato con preoccupazione gli enormi fluissi di capitali verso l'Asia e il loro potere «destabilizzante». Per Yi, la fonte è la politica monetaria troppo accomodante nei paesi avanzati.

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