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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 06:36.
ROMA
Ogni metro che il gigante asiatico guadagna per allontanarsi dalla crisi accresce le paure dei grandi utilizzatori italiani di materie prime. Il caso delle "terre rare", infatti, è solo l'apice di un fenomeno che agita i sonni di produttori e trasformatori.
La Cina che, al pari di altri paesi emergenti, si rimette in marcia vuol dire maggiore voracità nel consumo di materie prime e nel loro acquisto sulle piazze internazionali. E vuol dire anche restrizioni alla vendita all'estero di preziose risorse custodite in casa, come i lantanidi. Nell'industria italiana l'elenco di chi ha già acceso la spia d'emergenza è lunghissimo: Federacciai, Anima (meccanica varia), Ucimu (macchine utensili), Assomet (metalli non ferrosi), Anie (elettronica ed elettrotecnica), Federchimica, Assocarta. Di volta in volta, in base alle oscillazioni del London Metal Exchange, c'è un'industria che si dispera di più e un'altra che si illude che il peggio sia passato.
Al momento non è ancora emersa una posizione precisa del governo sul problema, sebbene l'argomento sia tenuto sotto osservazione dai ministeri a vario titolo competenti. Eventuali limitazioni della Cina o di altri paesi alle forniture di metalli fondamentali per le industrie occidentali, sarebbero del resto considerate in prima istanza un problema in capo alla Ue.
Quanto alle "terre rare", anche se si inizia a parlarne, per ora il tema non ruba il proscenio a rame, zinco, minerali ferrosi, alluminio, rottami, vere angosce della manifattura. «Le criticità sono reali – commenta Paolo Perino, del comitato di presidenza Anie – a cavallo dell'estate c'è stato un grande problema di approvvigionamento. Poi la disponibilità è aumentata ma i prezzi sono saliti alle stelle».
Per i cosiddetti lantanidi il discorso è meno immediato. Le produzioni, prevalentemente tecnologiche, che se ne alimentano – pensiamo ad esempio a memorie per computer, componenti degli smartphone o batterie per l'auto ibrida – non hanno radici in Italia. Qualche impatto, nel lungo periodo, potrebbe semmai concretizzarsi sugli investimenti per la nuova rete delle telecomunicazioni in fibra ottica ma lo scenario è ancora evanescente, spiegano dalle associazioni di settore Asstel e Assinform.
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