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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2010 alle ore 08:59.
A nuotare sempre controcorrente come i salmoni, si fa una fatica bestia. Ma ogni tanto qualche straccio di soddisfazione arriva. Ad esempio: se la Fiorentina non avesse fatto risultato contro il Bari sabato sera, Sinisa Mihajlovic sarebbe ormai l'ex allenatore viola. Nessuno riuscirà a levarcelo dalla testa. Nemmeno Andrea Della Valle in persona che pure per maniera l'aveva confermato in settimana. Lui, Sinisa, l'aveva presa come al solito: "Sono abituato a essere ultimo in classifica e poi a risalire. Caso mai carico tutti su un aereo e me li porto a Medjugorie". Per uno come lui che ha assaggiato le bombe – che non erano tiri molto forti, ma proprio quelle che portano distruzione dal cielo – cosa volete che sia un principio di stagione sbagliato. Non siamo ancora affatto convinti che sia un bravo allenatore, ma teniamo la porta aperta. Sul resto lo adoriamo, senza riserve.
Discutibile e discusso fin da quando era un ragazzino cui non importava poi tanto del calcio: preferiva il basket, sport più slavo. Del pallone gli piaceva prenderlo, piazzarlo per terra e calciarlo fortissimo contro la saracinesca del garage di suo papà, dando fastidio da morire ai vicini. Ogni altro aspetto del gioco era noia, almeno per lui. Che poi ha trasformato quel gesto e quel dono, in un mestiere al massimo livello mondiale, portandosi sempre in giro quella faccia da orso furbo e sornione. Ha fatto un sacco di fesserie vere, e tante cose molto discutibili per uno che sa (o dovrebbe sapere) di avere a che fare con menti nella migliore delle ipotesi fragili. Come quella t-shirt che indossava sotto la maglietta da gioco ai tempi della guerra: nera, col disegno di un bersaglio e la scritta "target". La mostrava spesso, dato che di gol ne ha sempre fatti un sacco. E fece macabra moda. Come quello striscione idiota che in suo onore alzarono certi ignoranti della curva laziale: "Onore alla tigre Arkan", per celebrare la morte del comandante serbo Raznatovic, organizzatore della pulizia etnica nella ex Jugoslavia. Avrebbe dovuto e potuto incendiarlo, a parole, e non l'ha fatto. Uscendo da aberranti dispute politiche e restando dentro al campo… un disastro. Nel 2000 si beccò tre giornate dall'Uefa dopo un Lazio-Arsenal di Coppa: insulti di stampo razzista a Patrick Vieira. Senza fare una piega Miha si presentò ai microfoni, non per provare a negare ma per spiegare: "Lui mi ha detto zingaro di merda, io gli ho detto negro di merda. Io sono contento di essere zingaro, non è colpa mia se lui è nero, perciò non ho offeso". Roba da asilo o quanto meno una logica un po' contorta, siamo d'accordo. Finì denunciato penalmente e costretto poi a scusarsi al microfono dell'Olimpico pochi giorni dopo con un messaggio anti-razzismo.