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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 13:07.
Tra poche ore, secondo il suo avvocato italiano Mario Lana, Tarek Aziz potrebbe salire sulla forca insieme al segretario di Saddam Hussein, Hamud, e all'ex ministro degli Interni Shaker. L'ultimo incontro che ebbi con lui fu a Baghdad, alla vigilia della guerra, nel febbraio 2003, poco dopo la visita in Vaticano a Giovanni Paolo II, nell'estremo tentativo di evitare la guerra. Indossava un impeccabile abito blu, non la solita divisa militare verde oliva, e aveva appena ricevuto il leader comunista Armando Cossutta.
Quel giorno il segretario di Stato americano Colin Powell illustrava in diretta tv davanti all'Onu le prove del presunto arsenale iracheno di armi di distruzione di massa. Tarek Aziz diede un'occhiata distratta al televisore, sintonizzato sulla Cnn, e continuò a firmare le carte accumulate sulla scrivania. Poi sollevò lo sguardo e disse: «Gli americani ci farebbero la guerra comunque, anche se consegnassimo fino all'ultimo dei nostri fucili». Spense la tv e cominciò l'intervista.
Braccio destro di Saddam Hussein, di religione cristiana caldea, era stato per anni uno dei pochi volti presentabili del regime. Crollato l'Iraq, Tarek Aziz, malato, era finito dietro le sbarre di Camp Cropper con altri gerarchi che come Saddam sono stati poi impiccati: il tribunale iracheno lo ha condannato alle pena capitale per la persecuzione contro i partiti islamici sciiti.
Nell'agosto scorso, alla vigilia del ritiro degli americani dall'Iraq, aveva rilasciato una lunga intervista al Guardian in cui lanciava un duro avvertimento agli americani che si preparano ad evacuare il paese. «L' America e la Gran Bretagna hanno ucciso l' Iraq, noi siamo loro vittime. Ma quando si fanno degli errori bisogna correggerli e non lasciar morire un paese: pensavo che Obama volesse correggere alcuni degli errori di Bush, ma è un ipocrita, non ci può abbandonare così. Sta lasciando l' Iraq alla mercè dei lupi». E i lupi per lui erano gli sciiti e l'influenza dell'Iran, la grande ossessione di Tarek e di Saddam.
Nato nel 1936, figlio di un proprietario terriero di Mosul, professore d'inglese, poi giornalista, Tarek Aziz, il cui vero nome è Mikhail Yuhanna, ha sempre ricoperto il ruolo dell'intellettuale in un regime dai metodi brutali. Compagno di lunga data di Saddam, il raìs ne apprezzava il senso politico e la conoscenza del mondo. Amante dei sigari, cliente della maison Cardin, Tarek si presentava come un uomo di buone maniere, dedito alla famiglia e all'intimità borghese: si fece persino ritrarre nella sua villa con i figli e un bicchiere di whisky in mano. In realtà è stato uno dei duri del regime. Il raìs si servì di lui per sventare più di un complotto, tra cui quello che nel '78 si concluse con l'esecuzione, con un colpo alla tempia, di dozzine di congiurati.