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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 06:40.
ROMA
I riflettori sono puntati sul Lodo Alfano bis e sulla sua «reiterabilità», al centro di un braccio di ferro tra Pdl e Fli dagli esiti imprevedibili, anche se il ministro della giustizia Angelino Alfano indossa i panni del pompiere e fa sapere che «non è una questione vitale». Pure Gianfranco Fini sembra vederla così e scommette che Silvio Berlusconi non la prenderà a «pretesto» per una crisi di governo. Piuttosto, se il rischio di una crisi c'è, il presidente della Camera lo vede nella riforma della giustizia, o almeno «su alcune questioni». «Noi non crediamo che si possa o si debba riformare la giustizia punendo la magistratura - ha spiegato in un'intervista ad Antennatre Nordest -. La magistratura non dev'essere sottoposta ad altri poteri e quindi nemmeno a quello esecutivo. Questo è un rischio concreto. Mi auguro non si concretizzi».
Lo spettro della crisi continua dunque ad accompagnare la «grande, grande, grande riforma della giustizia», quella che il premier vorrebbe approvare già venerdì prossimo al consiglio dei ministri (ma che probabilmente sarà soltanto presentata nelle linee guida) e dalla quale i finiani sembrano decisi a smarcarsi se non diminuirà il tasso di ingerenza del potere esecutivo nella magistratura. Ma i problemi vanno affrontati uno alla volta, e ora sul tappeto ce n'è uno enorme, imprevedibile fino a qualche giorno fa. E si chiama lodo Alfano. Prima il presidente della Repubblica, poi quello della camera, fatto sta che il testo in votazione alla commissione Affari costituzionali del senato perde pezzi, e, cosa ancora più imprevedibile fino a qualche giorno fa, sta scavando una crepa profonda tra berlusconiani e finiani. Non tanto sul punto segnalato da Giorgio Napolitano, e cioè la delibera del parlamento per autorizzare, a maggioranza semplice, lo scudo processuale: Pdl e Fli concordano sulla necessità di eliminarla, ripristinando il via libera automatico alla sospensione del processo, sia per il presidente della Repubblica che per il premier. E oggi il presidente della commissione, nonché relatore del ddl costituzionale, Carlo Vizzini (Pdl), proporrà una «pausa di riflessione» di ventiquattr'ore per ripresentare emendamenti su questo punto. Il pomo della discordia è un altro: la reiterabilità dello scudo se il beneficiario-imputato passa da una carica all'altra o viene reinvestito della carica nelle successive legislature. Una sorta di lodo a vita, insomma, «inaccettabile» per Pd, Idv e Udc, ma anche per i finiani.