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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 26 ottobre 2010 alle ore 08:50.
Dal Pdl si levano flebili voci: «Fini e i suoi amici dicano da che parte stanno». È il tema ricorrente di questo autunno confuso: ottenere dal gruppo di «Futuro e libertà» una prova di fedeltà governativa oppure costringerlo a una rottura plateale. Due ipotesi entrambe poco probabili. In particolare indurre il presidente della Camera a una sorta di «patto di legislatura» con Berlusconi sembra poco realistico.
Sarebbe nell'interesse del centrodestra e della stabilità, ma le circostanze sono avverse. Qualcuno si spinge a ricordare il rapporto fra Craxi e De Mita negli anni Ottanta. Anche allora due personaggi che non si amavano, ma che ebbero la loro convenienza a convivere per qualche tempo. Tuttavia il paragone non regge. In primo luogo, Craxi era capo di un partito, il Psi, strutturato e consistente: il suo accordo con la Dc avveniva da posizioni di forza.
Viceversa, Gianfranco Fini guida oggi un semi-partito, «Futuro e libertà», nato da una scissione del Pdl e che esiste soprattutto come gruppo parlamentare alla Camera e al Senato. Deve ancora dimostrare di essere radicato nel paese e l'operazione richiede tempo. Semmai ha bisogno di affermare con decisione la sua identità, mentre un'intesa di ferro con il partito berlusconiano avrebbe l'effetto di sbiadirla.
In secondo luogo, il patto fra Craxi e De Mita era fondato su un preciso «do ut des» che aveva come posta Palazzo Chigi. Quale sarebbe oggi l'eventuale baratto tra Fini e l'attuale premier? In teoria uno solo. Il presidente della Camera dovrebbe ottenere la garanzia di succedere a Berlusconi alla guida del governo e della maggioranza: proprio quello che il leader storico del centrodestra non può e non vuole in alcun modo concedergli. Almeno fino a oggi.
Dunque, né pace né guerra. Con effetti negativi e paralizzanti sull'attività di governo. Di sicuro Fini ha occupato il centro della scena mediatica. Interviene su tutto e la presidenza della Camera gli garantisce il massimo di visibilità. Nelle ultime ore, dopo il significativo passo del Quirinale, ha aperto la polemica sul lodo Alfano non «reiterabile», il che dovrebbe portare a un compromesso con il ministro della Giustizia. Poi ha dichiarato che sulla riforma della giustizia i punti di dissenso non sono secondari, tanto che si rischia una crisi di governo.