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Della Vedova: «Fini su Marchionne? Archivierei la cosa»

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2010 alle ore 15:50.

Benedetto Della Vedova, scusi, come sta la componente liberista dentro a Futuro e Libertà? Bene, benissimo. Perché me lo chiede? Beh, perché ieri il vostro leader Gianfranco Fini, nello schierarsi contro Marchionne, ha usato un lessico che sembrava provenire direttamente dal suo passato: il riferimento all'"italianità" o alla "canadesità", lo stato che ha salvato Fiat che quindi ora deve gratitudine.

Lei dice? Non sono d'accordo. Sarà perché ieri ho parlato con lui, dopo che aveva rilasciato quelle dichiarazioni. Il riferimento alla biografia dell'amministratore delegato della Fiat è stato più che altro uno scatto umorale. Per me, vale pari e patta. Archivierei la cosa. Sennò, il rischio è che il giudizio si fermi lì. Non bisogna farlo, perché al di là dei modi troppo ruvidi nel bene e nel male la storia della Fiat e quella italiana non si possono scindere. Marchionne ha molte buone ragioni. E la politica deve accompagnare le imprese nello sviluppo competitivo del paese: niente incentivi, riduzione del peso del fisco e buone infrastrutture materiali e immateriali, così che le imprese liberino le loro energie. Il caso Fiat pone la questione della modernizzazione del nostro sistema produttivo.

Sì, quello che lei dice risponde perfettamente al manuale del buon liberista. Però sentire l'ex leader del Msi e di An pronunciare la parola "italiano" e fare discorsi che ricordano i campioni nazionali, non le sembra una cosa ben diversa?
Probabilmente è perché conosco bene Fini, ma le sue parole non mi hanno suscitato alcuna eco statalista o corporativa. Rispetto ad altre rupture, come quella sui diritti civili, il cammino di Fini nell'economia è meno noto. Ma c'è. E, se crede, le porto degli esempi: a marzo lo abbiamo coinvolto in un convegno a Milano con Luigi Zingales, Giampaolo Galli, Antonio Martino e Alessandro De Nicola. Nomi importanti e influenti del pensiero economico liberale e liberista. Lunedì sera a Milano ha indicato la necessità di politiche focalizzate su pochi settori, di tanta ricerca e innovazione, delle liberalizzazioni dei servizi.

Perdoni se insisto, ma i liberali e i liberisti in Italia, in qualunque segmento del mercato politico si siano collocati, hanno avuto una storia politica di minoranza. Non teme di fare la foglia di fico?

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Tags Correlati: AN | Antonio Martino | Benedetto Della Vedova | Ente Italiano Audizioni Radiofoniche | Fiat | Gianfranco Fini | Italia | Mario Baldassari | Movimento Sociale Italiano | Privatizzazioni | RAI

 

È vero, spesso siamo stati minoranza. Ma non è questo il caso. Dentro a Futuro e Libertà, nella composizione dell'agenda economica, noi liberisti abbiamo un peso decisivo. Io ho alle spalle la militanza con i radicali. Ma anche Mario Baldassari, anche se con maggiore moderazione rispetto a me, dice le stesse cose. E l'agenda economica di Fini è ispirata a questi principi. Ma non per giochi di potere o di equilibri interni. È che Fini ci crede. Al di là delle etichette noi siamo dei riformatori. Vuole la prova definitiva?

Prego.
La Rai. Fini è favorevole alla privatizzazione della Rai. E lo è con motivazioni tipicamente liberiste, come la necessità di ridurre il debito pubblico e la possibilità di aumentare la concorrenza del settore radiotelevisivo. Mi permetta di scherzare: se fosse ancora un vecchio missino, non la vorrebbe mica privatizzare. In fondo l'Eiar, nel 1928, l'hanno fondata "loro".

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