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«Si gioca al centro il futuro di Obama»

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2010 alle ore 10:54.

WASHINGTON - Frank Foer è il direttore di New Republic, la rivista liberal che dal 1914 è il termometro della sinistra americana. Fratello dello scrittore Jonathan Safran Foer, gran tifoso del Barcellona e autore nel 2004 di un saggio sulla globalizzazione dal titolo Come il calcio spiega il mondo, Foer è un washingtoniano doc di 35 anni.
Davanti a una tazza di caffè, seduto al caffè Potenza nel cuore di Washington, Foer parla di Obama, di cosa sia andato storto, delle critiche di sinistra alla Casa Bianca e del futuro del presidente del cambiamento e della speranza dopo la probabile sconfitta alle elezioni di metà mandato di martedì.

«Non penso che queste elezioni dimostrino che la presidenza Obama abbia fallito», dice Foer. «Alcune cose sono certamente andate male, ma va considerato il contesto: la recessione, la tradizionale sconfitta del partito del presidente alle elezioni di midterm e la consapevolezza che i democratici non avrebbero potuto mantenere i seggi conquistati due anni fa nei collegi conservatori. Una contrazione estrema del consenso era inevitabile». Foer ammette, però, che due anni fa mai avrebbe immaginato una situazione del genere. Il direttore di New Republic sostiene che sul fronte interno le cose per Obama sono andate male dal punto di vista politico, più che della sostanza: «Non è riuscito a trovare un vocabolario o una formula per spiegare al paese il suo progetto. In campagna elettorale c'era riuscito perché la sua strategia puntava a sfruttare lo sfinimento causato dagli anni di Bush. Obama ha offerto al paese redenzione e tratti messianici, rimanendo tabula rasa sul fronte dei contenuti. Non aveva avuto bisogno di spiegare le sue idee, ma ora che è costretto a farlo non ci riesce». L'esempio principale, dice Foer, è quello del pacchetto di stimolo dell'economia da 787 miliardi di dollari: «Obama sapeva che il paese si trovava sull'orlo di una vera depressione e ha preso i provvedimenti necessari a evitarla, ma l'opinione pubblica non sapeva che eravamo in questa situazione e soltanto adesso, dopo l'approvazione delle misure obamiane, sta sentendo gli effetti negativi della recessione. Sicché crede che la crisi sia il prodotto delle misure prese da Obama, quando in realtà hanno salvato numerosi posti di lavoro».

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Tags Correlati: Barcellona | Bush | Frank Foer | Franklin Delano Roosevelt | Jonathan Safran Foer | Obama | Partiti politici | Paul Krugman

 

Foer sostiene che a Obama la politica non piaccia: «È un tecnocrate, un uomo pragmatico, incapace di entrare in sintonia con la gente. Questa miscela di ambizione e tecnocrazia lo rende interessante, ma anche politicamente inefficace». Obama non è criticato soltanto dai conservatori, ma anche da molti intellettuali di sinistra, come Paul Krugman. «Dal punto di vista teorico - dice Foer - quelli che dicono che la recessione aveva bisogno di una medicina più forte forse hanno ragione. Ma Obama non poteva fare da solo, doveva trovare i voti al Congresso e non ce li aveva. Chi lo accusa avrebbe criticato anche se alla Casa Bianca ci fosse stato Franklin Delano Roosevelt».

Più negativo, secondo Foer, il giudizio sulla politica estera: «Il campo dove le cose sono andate peggio è quello della politica estera. Obama non è riuscito a mantenere le promesse. Sono terrorizzato da che cosa potrebbe succedere in Iraq e credo che il presidente non abbia valutato bene le conseguenze del ritiro. Obama non crede nella guerra in Afghanistan, malgrado l'abbia definita necessaria. Era una guerra dimenticata. Ed era facile pensare che la colpa fosse di Bush, ma credere che i problemi si risolvano spendendo più risorse è un cliché del pensiero liberal».

Il giorno dopo le elezioni, prevede Foer, Obama si muoverà verso il centro: «Non ha altro spazio politico dove andare. Il tema dell'istruzione, ma anche le proposte che riceverà dalla Commissione per la riduzione del deficit, lo posizioneranno al centro, gli consentiranno di rubare ai repubblicani alcuni argomenti e di metterli sulla difensiva».

A preoccupare Foer, però, c'è un'altra cosa: «Se si guardano i cambiamenti nello staff, si nota che Obama si sta affidando a gente che conosce da molto tempo, non chiama forze nuove. Il timore è che la sua presidenza sia già dentro una campana di vetro, isolata dal resto del mondo. Tra l'altro, questa era l'accusa che Obama faceva a Bush».

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