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Un martedì da Tea Party

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2010 alle ore 06:36.

Nella battaglia per la conquista del Senato americano ci sono otto seggi che faranno discutere più degli altri. Qualunque sia il risultato. Sono quelli dove corrono i candidati dei Tea Party. In Nevada, Kentucky, Colorado, Delaware, Florida, Wisconsin, Alaska e Utah contro i democratici sono schierati uomini e donne del movimento ultraconservatore e anti-tasse che si sono imposti nelle primarie, a volte in modo sorprendente, su colleghi di partito più moderati.

Se la carica degli otto dovesse andare a segno il 2 novembre, sarebbe la definitiva consacrazione del movimento che è la vera novità di queste elezioni di metà mandato. E sarebbe difficile, a quel punto, non immaginare una radiosa Sarah Palin in corsa per la Casa Bianca nel 2012. Se dovessero perdere, la loro sconfitta farebbe più rumore delle altre e all'interno del partito comincerebbe una resa dei conti che già si paventa: con candidati meno radicali i democratici avrebbero avuto meno chance, e l'idea di espugnare il Senato non sarebbe stata così peregrina.

Guardando alle singole battaglie, sulla carta l'esito di queste otto sfide appare in alcuni casi scontato, in altri meno, mentre in altri ancora si profila un avvincente testa a testa.

Prendiamo Christine O'Donnell in Delaware. Quando la 41enne ha trionfato nelle primarie sull'ex parlamentare e governatore repubblicano Mike Castle, i democratici hanno gongolato. Sicuri di portare a casa il bottino con il loro Christopher Coons, a fronte di un'avversaria gaffeuse e impreparata, irrimediabilmente perdente nei sondaggi (anche se nessuno dimentica che le rilevazioni la condannavano indietro di 15 punti sul blasonato collega di partito).

In Florida lo scenario è opposto. Il giovane astro dei Tea Party Marco Rubio, che alcuni vedono addirittura proiettato sulla scena presidenziale, stando ai sondaggi dovrebbe surclassare i contendenti Charlie Crist (non proprio uno qualsiasi: è il potente governatore repubblicano dello stato, in corsa come indipendente) e il semisconosciuto democratico Kendrick Meek. Semisconosciuto - e perdente - al punto che Bill Clinton ieri, a quattro giorni dal voto, gli ha proposto di farsi da parte per appoggiare in massa proprio Crist.

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Tags Correlati: Alaska | Bill Clinton | Christine O'Donnell | Christopher Gadsen | Colorado | Delaware | Florida | Gadsden flags | Kendrick Meek | Kentucky | Marco Rubio | Mike Castle | Murkowski | Partiti politici | Paul Rand | Senato degli Stati Uniti d'America | Sharron Angle | Tea Party | Utah | Wisconsin

 

In Nevada e Colorado, incredibilmente, le sfide sono aperte. La sorpresa arriva soprattutto dal Nevada, dove il capogruppo democratico al Senato Harry Reid annaspa contro Sharron Angle. Nessuno avrebbe potuto immaginare un simile testa a testa in uno stato piegato dalla crisi economica e profondamente scontento del governo federale, dove un candidato meno estremista dell'agguerrita Angle avrebbe assicurato la vittoria ai repubblicani. In Colorado, poi, il risultato è tra i più incerti di tutta la nazione. Il duro Ken Buck («Non sono un esperto di niente. Ma guardate cosa ce n'è venuto dai cosiddetti esperti: sono un branco di bugiardi e ladri», ha detto di recente) sembra aver perso il lieve vantaggio delle ultime settimane contro il democratico Michael Bennet. Solo i comitati dei partiti hanno speso 11 milioni di dollari in questa battaglia all'ultimo voto.

Avanti, seppure di poco, è il candidato dei Tea Party in Wisconsin, l'imprenditore multimilionario Ron Johnson, volto nuovo della politica che punta a scalzare una colonna dell'establishment democratico come Russ Feingold (è ininterrottamente dal 1993 alla Camera alta).

In Alaska l'avvocato Joe Miller, padre di otto figli e veterano della prima guerra del Golfo, uscito vittorioso grazie all'appoggio della Palin da primarie ritenute perse in partenza, ha ragione di temere il fuoco amico di Madame Lisa, l'ultima esponente della dinastia repubblicana dei Murkowski sconfitta proprio alle primarie. Sarebbe un affronto, in casa Palin, ma qualche preoccupazione c'è. Appaiono infine rassicuranti, per i repubblicani, le sfide in Kentucky - dove Rand Paul (figlio dell'ex candidato alla presidenza Ron) dovrebbe aver ragione del democratico Jack Conway - e ancor di più nello Utah, uno stato tradizionalmente conservatore: qui Mike Lee, colui che vuole cancellare i ministeri dell'Istruzione e dell'Energia e cavalca una politica anti-immigrati molto radicale, salvo sorprese dovrebbe varcare la soglia del Senato.

L'impatto del tifone Tea Party, anche sul lungo periodo, in definitiva si gioca soprattutto in Delaware e Nevada (in parte anche in Alaska), visto che le altre sfide sembrano relativamente sicure. Un en plein sarebbe un terremoto politico, una sorpresa negativa porterebbe a una disfatta difficilmente rimediabile. Il conto alla rovescia è partito.

eliana.dicaro@ilsole24ore.com

«NON CALPESTARMI»
DON'T TREAD ON ME
La novità

Il gruppo dei Tea Party è la vera novità di queste elezioni di metà mandato. Il movimento, che trova nella ex candidata alla vicepresidenza repubblicana Sarah Palin il proprio punto di riferimento, contro ogni aspettativa si è spesso imposto nelle primarie di partito, mettendo in imbarazzo l'establishment

Il simbolo
Il movimento fa del patriottismo e del ritorno ai valori dei padri fondatori uno dei suoi cavalli di battaglia. Nei raduni, sempre più frequenti e diffusi a livello nazionale, si vedono spesso le Gadsden flags (nella foto sopra), con il motto Don't tread on me (non calpestarmi), simbolo di patriottismo e libertà. La bandiera porta il nome di Christopher Gadsen, generale di primo piano nella guerra d'Indipendenza americana

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