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«Scardellini» e «Ben d'i morti» per chi sceglie Ognissanti all'Italiana

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2010 alle ore 18:38.

Le feste a dimensione globalizzata proprio non vi vanno a genio? Preferireste qualcosa di affine alla radici cristiane del Bel Paese? Siete, per giunta, integralisti dello slow food e guardate con sospetto ai dolciumi prodotti da complicati processi industriali?
Allora lasciate perdere Halloween, preparate la valigia e munitevi di cartina geografica. Perché di cose da fare e da vedere, in giro per l'Italia, ce ne sono in occasione di Ognissanti. O, meglio ancora, in corrispondenza della Commemorazione dei defunti, festività che - come da Rituale Romano - cade il 2 novembre.

Un po' ovunque il cosiddetto ponte dei morti è caratterizzato da visite di massa al cimitero. Per anni ad alimentarle fu, spesso, la diffusissima credenza in base alla quale le anime dei defunti, la notte tra l'1 e il 2 novembre, tornerebbero dall'Aldilà effettuando delle processioni per le vie dei borghi. Pochi posti al mondo, tuttavia, sentono la ricorrenza come la Sicilia: qui a festeggiare sono soprattutto i bambini. Tradizione vuole che i defunti portino loro regali nella notte a cavallo tra il 31 e l'1.

A Sciacca, in particolare, per l'occasione viene allestita presso il viale della Vittoria una fiera di bancarelle di giocattoli, mentre le pasticcerie tirano fuori diverse specialità come la frutta martorana (dolci di pasta di mandorla dalle forme più svariate) e gli scardellini, altrimenti detti «ossa di morti» per la loro caratteristica durezza. Per le coppie di fidanzati è poi usanza che lui regali a lei «'u panareddu», ossia un cestino pieno di frutta martorana.

Di notevole interesse anche le tradizioni legate alle province toscane. In quel di Massa Carrara, per esempio, la Commemorazione dei defunti è teatro del «Bèn d'i morti», una tradizione social-religiosa che deriva dall'antica distribuzione ai poveri e ai bisognosi di generi alimentari e piatti pronti da parte delle famiglie benestanti, nel giorno dei morti. Ancora oggi, se si passa per antichi borghi, quali Castelpoggio, ci si può imbattere in bambini con al collo la «sfilza» (collana fatta di mele e castagne bollite), così come si può incontrare qualcuno pronto a offrire un piatto caldo o un buon bicchiere di vino.

Solo qualche blanda rievocazione fa, invece, rivivere le antiche tradizioni della zona del Monte Argentario dove per i Morti si cucivano delle grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani, affinché ognuno potesse metterci in offerta cibo e denaro. Comune era anche l'usanza di collocare delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti, perché si pensava che nella notte del 2 novembre le loro anime (dette angioletti) avessero la possibilità di tornare in mezzo ai vivi.

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Tags Correlati: Gruppo Identità | Massa Carrara | Roma (squadra) | Sicilia | Veneto

 

Praticamente scomparse le tradizioni a tema dell'Emilia, dove fino a inizio Novecento i meno abbienti erano soliti girovagare per le campagne a chiedere «La carità di mùrt». Stessa sorte per le usanze di Roma, dove il giorno dei morti si consumava il pasto accanto alla tomba di un parente defunto per tenergli compagnia.

I sardi, invece, hanno il merito di aver anticipato il rituale di Halloween: qui la mattina del giorno dei morti, in molte località, i ragazzi vanno di porta in porta a chiedere le offerte per ricevere in cambio pane, fave, fichi secchi, mandorle, uva passa e dolci.

Il Veneto punta decisamente sulla gastronomia: le «suche baruche» (zucche bitorzolute) in questo periodo si possono gustare un po' ovunque in regione, così come i maroni di Seren del Grappa (Belluno) o quelli Igp di Combai (Treviso) e le caldarroste tipiche di ogni piazza invernale veneta. Poi ci sono gli «ossi da morti», che i fidanzatini si offrono come pegno d'amore.

Romantica l'usanza abruzzese di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, con dei lumini accesi alla finestra (affinché le anime trovino ristoro), mentre i bimbi vengono mandati a dormire con un cartoccio di fave dolci. E cosa dire, poi, del culto del giorno dei morti a Napoli? Roba seria, come testimonia il grande Totò: «Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza/ per i defunti andare al Cimitero./ Ognuno ll'adda fà chesta crianza;/ ognuno adda tené chistu penziero».

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