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Il dramma dei cristiani d'Oriente

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 06:38.

Il silenzio ha coperto a lungo il destino dei cristiani d'Oriente. Era il novembre del 2000 quando a Mosul padre Yusuf al Banna riaprì la cripta di San Tommaso, la basilica più antica dell'Iraq. In quel periodo i cristiani erano ancora numerosi e Tareq Aziz, il braccio destro di Saddam condannato la scorsa settimana all'impiccagione, era anche lui un cristiano di Mosul. Padre al Banna salmodiava in aramaico, la lingua di Gesù: non lo avrei più rivisto, travolto da guerre e persecuzioni.


Più della metà dei cristiani, un milione, se ne è andato: dalla caduta di Saddam ne sono stati uccisi duemila: «Come fermeremo l'esodo?» dice al telefono Shlemon Warduni, vescovo caldeo di Baghdad, dopo il bagno di sangue nella cattedrale di Nostra Signora, 50 morti, attentato rivendicato da un comunicato di Al Qaeda che minaccia anche i cristiani copti dell'Egitto. Dal 2004 sono state attaccate una sessantina di chiese, venti sacerdoti assassinati, migliaia di famiglie fuggite per salvarsi dalla morte o dalla conversione forzata: il cristianesimo si spegne dove è nato, nonostante l'appello lanciato da Papa Benedetto XVI alla comunità internazionale per fermare «una violenza assurda contro gli inermi».

L'Iraq è un simbolo della persecuzione dei cristiani, il 70% delle vittime dell'odio religioso nel mondo secondo un rapporto del think tank americano Pew. Il perché lo spiega molto bene l'arcivescovo latino di Baghdad Jean Benjamim Sleiman: «Il dramma dei cristiani in Iraq (ma anche altrove) è esploso con la caduta del regime. I cristiani stavano con i musulmani ma questo non significava che i vari gruppi, etnici e religiosi, fossero integrati: la società era stata unificata con la forza da una tribù, il clan di Tikrit». «La facciata del regime - dice Sleiman - faceva pensare che fosse anche secolarista ma si trattava di un dispotismo con gli abiti di una laicità ambigua. Mancava la più grande conquista del progresso: il rispetto della persona, dell'individuo. La democrazia è stata quindi rapidamente accerchiata dal settarismo e dalla violenza».

Per Sleiman niente è più fuorviante di un'apparente modernità, anche nel linguaggio. L'Egitto è un caso emblematico. Nelle dichiarazioni dei leader la parola d'ordine è convivenza: il Cairo ha condannato l'attentato in Iraq ma respinge le minacce contro i cristiani copti in modo ambiguo. Nei fatti non si fa quasi niente per affermare il diritto a un'identità diversa: avanzano le correnti fondamentaliste e lo stato per manovrarle deve apparire il difensore dell'Islam, non della laicità o del pluralismo. I copti sono così costretti ad andarsene. E non troppo diversamente avviene in Turchia - paese che punta all'Europa - dove l'assassinio di don Santoro a Trebisonda e di monsignor Padovese a Iskederum non hanno avviato nessuna discussione sulla tolleranza religiosa.

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Tags Correlati: Al Qaeda | Aziz Tareq | Benedetto XVI | India | Jean Benjamim Sleiman | Marocco | Medio Oriente | Nostra Signora | Pakistan | Politica | Saddam Hussein

 

Nazionalismo e islam si identificano sempre di più: l'uno diventa strumento dell'altro e viceversa, come avviene in Pakistan, mosaico tribale e religioso la cui unità viene messa in dubbio sin dalle origini. Ecco perché l'Islam più estremo diventa il collante di una società frammentata, esposta a spinte centrifughe. I talebani si aggirano nei quartieri cristiani terrorizzando le donne e invitando la gente a convertirsi, pena la morte. Se i cristiani vogliono restare devono versare la «jizya, mille rupie a testa. Ma le minacce non vengono soltanto dall'integralismo islamico. Nella vicina India è l'”Hindutva”, cioè l'ideologia religiosa del nazionalismo, che miete vittime, come è avvenuto con le stragi dei cristiani di Orissa, colpevoli secondo gli hindu di rifiutare il sistema delle caste.

Anche in Malaysia l'Islam, in origine tiepido e sincretico, si è radicalizzato. La vicenda è iniziata quando i musulmani sono stati sopravanzati dall'emigrazione cinese e indiana. Persino nel tollerante Marocco 130 cristiani evangelici sono stati espulsi per proselitismo. Ma pure le questioni economiche possono mettere in collisione musulmani e cristiani, come in Nigeria, che ha inghiottito in cinquant'anni 600 miliardi di entrate petrolifere lasciando il 70% del paese sotto la soglia di povertà. In Medio Oriente la presenza dei cristiani si assottiglia sempre di più: oggi sono 14 milioni su 350. Qui il mutamento è stato epocale: un tempo l'elemento unificante era l'arabismo, nel quale rientravano anche i cristiani, adesso l'identità comune non è nello Stato, sempre più debole e inefficace, ma nell'Islam. Il futuro è assai incerto ma sul loro destino non sarà del tutto indifferente il modo con cui tratteremo i musulmani in Occidente. Forse si può provare a convivere pur avendo fedi molto diverse.
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FEDE E INTOLLERANZADiminuiti di un terzo in Iraq
In Iraq i cristiani sono 500-600 mila, secondo stime 2009. Una cifra scesa di un terzo rispetto al 2003, anno della caduta di Saddam Hussein quando erano 800mila. I cattolici sono circa 260 mila, il 70% dei quali caldei

Dall'Egitto alla Turchia
L'anno scorso dopo la messa di Natale tre musulmani hanno ucciso sette cristiani copti in un villaggio vicino a Luxor in Egitto, dopo un presunto stupro. Ieri le minacce di Al-Qaeda alla Chiesa copta, a meno di un mese dalle elezioni per la nuova assemblea del popolo. Nel 2006 e nel 2010 in Turchia sono stati ammazzati due sacerdoti; in Marocco sono stati espulsi 130 cristiani evangelici per proselitismo

I fondamentalismi asiatici
Episodi di intolleranza si registrano anche in Pakistan dove le persecuzioni dei cristiani e di chi resiste alla conversione all'Islam sono continuate con le inondazioni dell'agosto scorso. In in India il fondamentalismo indù ha portato al rogo di cristiani

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