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L'attesa e il gioco del cerino E Fli prepara l'exit strategy

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 08:49.

Il botta e risposta tra gli stati maggiore di Pdl e Fli conferma che la resa dei conti è vicina. La richiesta di chiarimenti avanzata dal partito di Silvio Berlusconi punta a far uscire il presidente della Camera allo scoperto. Fini continua nella sua guerra di posizione, manda avanti falchi e colombe (i due capigruppo di Camera e Senato, Bocchino e Viespoli) a dire che Fli non vuole «staccare la spina al governo» ma intanto prepara le truppe per la battaglia finale. Tutto, giurano in molti dalle rispettive trincee, «si deciderà in questa settimana».

In agenda ci sono due appuntamenti clou: giovedì Silvio Berlusconi parlerà alla direzione del Pdl; domenica ci sarà invece il discorso di Fini a Perugia dove si terrà la prima convention di Futuro e libertà. Ed è proprio qui che il presidente della Camera potrebbe consumare un nuovo strappo, annunciando il ritiro della delegazione di Fli dal governo. Un passaggio che formalmente non determina la sfiducia automatica al premier ma che segnerebbe un ulteriore distacco da Berlusconi, indebolendolo ulteriormente.

«Sulla vicenda che coinvolge il presidente del Consiglio attendiamo che si chiariscano i contorni pubblici della vicenda», dice Adolfo Urso con riferimento al Rubygate e in particolare alla telefonata del premier alla questura di Milano. Il coordinatore di Fli misura le parole, spiega che per capire gli sviluppi futuri «molto dipenderà dall'esito della direzione del Pdl», ovvero dalla risposta del premier alle richieste «politiche» avanzate da Fli tanto sull'azione di governo che «sull'articolazione della maggioranza». Ma a microfoni spenti dal fronte finiano emerge un generale scetticismo. La richiesta di Fini a Berlusconi di «fare un passo indietro» è stato il primo squillo di tromba in vista di domenica. Un appuntamento che sarà preceduto da altri due segnali significativi: oggi Fli presenterà il suo simbolo (tanto verde e azzurro con su scritto Fini e un angolo tricolore) e domani annuncerà ufficialmente l'ingresso di altri quattro deputati (tutti ex Fi) nel gruppo della Camera che raggiungerà così quota 39 membri. Poi nel week end lo strappo. Con quali conseguenze?

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Tags Correlati: Adolfo Urso | AN | Andrea Augello | Camera dei deputati | Comitato Esecutivo | Giuseppe Saro | Governo | Lega | Milano | Pd | PDL | Pierluigi Bersani | Roberto Calderoli | Romano Comincioli | Senato | Silvio Berlusconi

 

Nessuno vuole le elezioni tranne la Lega. Tant'è che il Pd non ha ancora deciso se presentare o meno una mozione di sfiducia al premier. Pierluigi Bersani cerca una strada per favorire l'intesa con i finiani, per questo ha prospettato l'ipotesi di una «mozione di censura» che rispetto alla sfiducia potrebbe risultare più digeribile a Fli. Nulla però è stato ancora deciso anche perché Fini in questa fase preferisce muoversi in autonomia: «Se deve rompere lo farà sul suo terreno e non a sostegno di una mozione dell'opposizione», spiegava ieri un dirigente di Fli.

L'obiettivo del presidente della Camera resta quello del governo di salute pubblica. E non a caso è questa la maggiore preoccupazione di Berlusconi. Per questo si è mantenuto in costante contatto con Bossi anche ieri. Il Senatur e i suoi colonnelli (a partire da Roberto Calderoli e Roberto Maroni) hanno assicurato che «mai e poi mai» sosterranno un altro governo. Anzi minacciano di ricorrere alla piazza contro quello che definiscono un «golpe». Una decisione che – spiegano fonti berlusconiane – è stata «concordata» con il Cavaliere perché – sostengono le stesse fonti – «anche la nostra gente non ci penserebbe un secondo a manifestare». Il Pdl ostenta sicurezza. «L'ipotesi di governo tecnico non sta in piedi», sentenzia Franco Frattini che non crede alla volontà di Fli «di far cadere l'esecutivo sul gossip». Ci vorrebbe un tema alto, come la giustizia, «ma non ce n'è motivo visto che anche sul Lodo siamo pronti a trovare una soluzione condivisa».

Bossi però non è neppure disposto ad aspettare in eterno. Se Fini dovesse sfilarsi dal Governo, se dovesse optare per quello che in politichese si definisce «appoggio esterno» allora il Senatur potrebbe rompere gli indugi e far deflagrare la crisi, piuttosto che rischiare di rimanere invischiato nel logoramento del Cavaliere.

Berlusconi ne è consapevole. Per questo giovedì tenterà anzitutto di ricompattare il partito. Alla direzione del Pdl questa volta non ci sarà nessuno con il dito alzato, nessuno gli chiederà polemicamente «che fai, mi cacci?». Il malumore però c'è e il premier dovrà farsene carico. «Abbiamo bisogno di una rigenerazione, che si può realizzare solo con un grande coinvolgimento attraverso i congressi provinciali e regionali, al termine dei quali si può prevedere una conferenza programmatica», ribadisce Andrea Augello, senatore ex An che assieme ad altri 25 colleghi, tra cui anche berlusconiani doc come Romano Comincioli o Giuseppe Saro hanno sottoscritto un documento critico sulla conduzione del partito da parte dei tre coordinatori nazionali (La Russa-Bondi-Verdini). È chiaro che l'esplosione del caso Ruby imporrà a tutti di evitare ulteriori lacerazioni anche perché il timore che da Milano o da qualche altra procura possa uscire nuovo «fango» è tutt'altro che remoto.

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