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La maggioranza è divisa e il paese non ha più guida

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 02 novembre 2010 alle ore 08:56.

Un punto è certo. Il governo Berlusconi è paralizzato. Virtualmente morto, si potrebbe dire, per la perdita di credibilità della sua guida. Funziona la garanzia dei conti pubblici affidata a Tremonti, ma per il resto nessuno si fa illusioni. Basti dire che la maggioranza alla Camera vive sul voto dei finiani, un gruppo il cui leader, appunto il presidente di Montecitorio, ha appena chiesto le dimissioni del premier, «se fossero vere le pressioni di Palazzo Chigi sulla Questura di Milano».


Se fossero vere? Nel paese non si discute altro che di quella notte, con la triangolazione fra il presidente del Consiglio, la polizia di Stato e la procura dei minori. Il ministro degli Interni si preoccupa di proteggere il buon nome dei poliziotti e non spende una parola per difendere il capo di quel governo di cui è autorevole membro. Dettaglio significativo, date le circostanze.
La condizione posta da Fini («se fossero vere...») è una foglia di fico. Di fatto, il gruppo che ha le chiavi della maggioranza ha reclamato per la prima volta le dimissioni di Berlusconi. Eppure la richiesta di Fini (presidente della Camera in carica) non è ancora un abbandono unilaterale della coalizione di governo nella quale «Futuro e Libertà» - ricordiamolo - dispone di ministri e sottosegretari. Al contrario, i finiani vogliono evitare questo passo definitivo che attirerebbe su di loro gli applausi dell'opposizione, ma finirebbe per restituire compattezza all'asse Pdl-Lega e renderebbe più difficile la ricerca di un esecutivo di transizione. Ricerca peraltro esoterica, perché questo governo «a tempo» è ancora privo di forza parlamentare e orizzonte programmatico.§

Siamo nel pieno di una partita politica dagli esiti indecifrabili. La mossa di Fini («il premier si dimetta») sarebbe stata deflagrante se anche la Lega avesse abbandonato la nave di Berlusconi. Ma non è ancora così. Bossi stavolta ha esitato all'inizio, incerto sulla via da imboccare. Nella Lega si sono vissute ore difficili e forse traumatiche, anche perché Maroni si è trovato invischiato suo malgrado nel «caso Ruby». Al dunque, ha prevalso un calcolo di convenienza. Alla Lega non serve un governo di larga coalizione figlio dello scandalo. Al punto in cui siamo, i danni sarebbe maggiori dei vantaggi. D'altra parte senza la Lega tale governo non avrebbe ali per volare e per la destra sarebbe facile gioco presentarlo come un mero «ribaltone», un atto di trasformismo parlamentare.

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Tags Correlati: Berlusconi | Camera dei deputati | Futuro e Libertà | Gianfranco Fini | Governo | Italia | Lega | Montecitorio | PDL |

 

È un vicolo cieco. La crisi personale del premier non si traduce in crisi politica. Non ancora. Si resta sospesi a mezz'aria, in attesa di un altro evento, di un nuovo choc. Forte del rifiuto della Lega ai governi tecnici, Berlusconi può arroccarsi e respingere l'ipotesi delle dimissioni. E infatti i suoi rispondono a Fini: se ci tiene, sia lui a togliere l'appoggio al governo e ad aprire la crisi.

La posta in gioco è evidente. Se Berlusconi si dimettesse sotto il peso di questa vicenda, la strada sarebbe spianata, almeno sulla carta, verso un esecutivo con una diversa maggioranza e guidato da un «signor X» da individuare. Ma, come si è detto, tale ipotesi avrebbe un senso solo se la Lega entrasse in qualche modo a far parte della combinazione. Se ciò non accade e il premier resta asserragliato a Palazzo Chigi, si deve immaginare che l'unica via d'uscita sarà fra qualche mese il voto anticipato. Vale a dire l'obiettivo di Bossi. Non di Berlusconi, almeno fino all'altro ieri, ma le cose cambiano in fretta e l'uomo di Arcore sembra con le spalle al muro. Tuttavia, se avremo le elezioni, è bene che si sappia quale prezzo dovrà pagare il paese. Perché il ricorso alle urne avverrà in un clima drammatico e senza alcuna certezza per il dopo.

La paralisi è sotto gli occhi di tutti. Il presidente della Camera, dopo aver posto in termini perentori il problema della permanenza di Berlusconi a Palazzo Chigi, dovrà decidere cosa fare. Se il premier gli risponde «picche», come è già accaduto, Fini ha tre scelte. Primo, aspettare qualche ulteriore scandalo che disintegri l'immagine del premier e lo obblighi a lasciare l'incarico. Secondo, ritirare dal governo la delegazione di «Futuro e Libertà» e provocare la crisi (c'è un surrogato di cui si parla in queste ore, il passaggio all'appoggio esterno, ma è poco credibile e il Pdl non lo accetterebbe).

Terzo, dimettersi da presidente della Camera denunciando il degrado istituzionale: sarebbe un gesto a effetto e risolverebbe il paradosso di un presidente della Camera impegnato in una lotta all'ultimo sangue contro il presidente del Consiglio.

Comunque sia, è necessario che tutte le decisioni siano prese in tempi celeri. L'Italia non può assistere ancora a lungo a questo suicidio della politica, sotto gli occhi, increduli, del mondo intero.

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