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La riscossa dei repubblicani

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2010 alle ore 06:35.


NEW YORK. Dal nostro corrispondente
I repubblicani, il giovane movimento dei Tea Parties, i patrioti "difensori" della Costituzione e di quello spirito americano che Barack Obama e i democratici avrebbero distrutto in due anni di governo "statalista" hanno vinto. Hanno riconquistato ieri notte, dopo una delle più polarizzate elezioni degli ultimi anni, il controllo alla Camera. La maggioranza democratica al Senato è invece salva: il successo di Joe Manchin in West Virginia, la sconfitta di Christine O'Donnell in Delaware, l'avanzata quasi certo di Harry Reid in Nevada, impediscono ai repubblicani di fare l'en plein. Ma la maggioranza "blindata" dei democratici, che di fatto, con 59 seggi, consentiva di neutralizzare l'ostruzionismo dell'opposizione viene comunque ridimensionata, con una delle sconfitte più significative, quella di di Blanche Lincoln in Arkansas. Questo significa che da oggi gli equilibri politici nella Capitale americana sono cambiati in modo drammatico: era dagli anni Trenta che non si registrava un cambiamento di maggioranza alla Camera senza un seguito al Senato. E i repubblicani si trovano di nuovo in sella.
Mentre scriviamo, le urne in California, a Washington State, in Oregon, in Arizona, in Colorado, nel Nevada, in Alaska sono ancora aperte. Ma le proiezioni estrapolate sulla base dei primi risultati su una ventina di stati, fra questi l'Indiana, il Kentucky, il West Virginia, il Connecticut, la Pennsylvania, New York, la Florida, il Delaware. La Carolina del Sud, la Georgia, danno una differenza media fra i 50 e i 60 seggi a vantaggio dei repubblicani alla Camera e un recupero fra i 6 e i 7 seggi al Senato. Questo significa che alla Camera i repubblicani avranno una maggioranza fra i 229 e i 239 seggi contro i 196-206 democratici mentre al senato i democratici resteranno alla maggioranza con circa 52-53 seggi contro i 47-48 seggi dei repubblicani. Il voto è stato per il 55% a vantaggio dei repubblicani e per il 43% a vantaggio dei democratici, gli indipendenti hanno votato in forte maggioranza per i repubblicani e l'affluenza dei giovani è stata molto più bassa del 2008. Fra i risultati certi per i repubblicani: la vittoria al Senato del controverso Rand Paul del Kentucky e di Marco Rubio della Florida, due dei candidati più celebri, matricole dei Tea Parties, la vera forza nuova di queste elezioni del 2010. In campo democratico a New York ha vinto Andrew Cuomo per la poltrona di governatore a New York e i due senatori Chuck Schumer e Kirsten Gillibrand. In Ohio invece, in campo repubblicano, si è affermato John Boehner (che sarà il nuovo presidente della Camera) mentre il democratico Ted Strickland ha conservato la poltrona di governatore. Nancy Pelosi, che pure era in vantaggio nella sua corsa in California, resterà la prima donna ad aver guidato la Camera. Ieri notte lo ha negato: ma alcuni dicono che a questo punto potrebbe uscire dalla politica attiva.

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Questo rapido cambiamento di umore boccia la gestione del presidente Obama. Non che si tratti di una sorpresa: nelle elezioni di metà mandato la maggioranza in genere riduce i suoi margini. In questo caso però la sconfittà è stata bruciante. I repubblicani hanno vinto cavalcando lo scontento degli americani per la crisi economica e per un tasso di disoccupazione che sfiora il 10%; per il passaggio di una riforma sanitaria che potrebbe aumentare i costi di assicurazione riducendo allo stesso tempo la qualità dell'assistenza per la maggioranza di 300 milioni di americani.
Il referendum su questo presidente che ha conquistato la Casa Bianca appena due anni fa sull'onda della speranza e del "yes we can" è stato dunque chiarissimo. Gli americani chiedono una virata verso il centro destra. È vero che il nuovo Congresso si insedierà solo a gennaio. Ma è da oggi che a Washington gli equilibri del potere sono cambiati. Obama, in una conferenza stampa prevista per oggi, prenderà atto della sconfitta. E dovrà esprimere una linea politica. Indiscrezioni raccolte in ambienti vicini alla Casa Bianca ci hanno descritto un presidente combattivo, ma aperto al dialogo, quanto meno nella fase iniziale delle nuove schermaglie politiche. Con un primo obiettivo bipartisan: il prolungamento dei tagli fiscali di George W. Bush. È da oggi dunque che si volta pagina. Per il partito democratico, che dovrà riflettere sull'opportunità di tornare alla "Terza Via" di Bill Clinton. Per il partito repubblicano, che dovrà scegliere se governare o restare sulla linea del muro conto muro che finora ha pagato. Per i Tea Parties, che dovranno decidere se esprimere un leader e se ammainare la bandiera della protesta ora che circa 130 di loro fra deputati e senatori sono arrivati a Washington. Decisioni urgenti perché il prossimo appuntamento, le elezioni del 2012, è già dietro l'angolo.
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GLI SCENARI PRE-VOTO

I repubblicani conquistano la Camera, i democratici mantengono il Senato
È lo scenario che si è delineato nella notte: quello di un Congresso diviso, con i repubblicani che conquistano la Camera e i democratici che mantengono il controllo del Senato, sebbene con un vantaggio ridotto
I repubblicani conquistano Camera e Senato
Improbabile. I repubblicani dovrebbero conquistare 10 seggi in più e ottenere così i 51 necessari a controllare il Senato. Ma sarebbero sotto i 60 voti necessari per evitare che i democratici facciano ostruzionismo (e ancora ben lontani dai 67 seggi necessari per ribaltare un veto di Obama)
Obama dunque potrebbe impedire con il veto che un Senato repubblicano rovesciasse i suoi più importanti successi legislativi, tra cui la riforma sanitaria e la regolamentazione del settore finanziario
Il Senato si spacca in due
È lo scenario del pareggio (50 a 50). I democratici tuttavia manterrebbero il controllo perché il vice-presidente, Joe Biden, come presidente del Senato, gli darebbe sempre il vantaggio

Atlante politico in cambiamento
SENATO
Quota 60 lontana
Sono 37 i seggi del Senato in gioco (su un totale di cento). Trentaquattro seggi sono in palio per scadenza del mandato del senatore, tre invece erano quelli di Joe Biden e Hillary Clinton, che li hanno lasciati per diventare rispettivamente vice presidente e segretario di stato, e di Robert Byrd, senatore della West Virginia scomparso nel giugno scorso
I senatori vengono eletti con un mandato di sei anni
Attualmente il partito democratico controlla 59 seggi contro i 41 del partito repubblicano
Secondo gli exit poll i democratici riusciranno a mantenere una esigua maggioranza (52-53 seggi contro 47-48), ben lontana dai 60 seggi necessari per superare l'ostruzionismo dell'opposizione e quindi governare
Stati chiave da tenere d'occhio
Per riuscire nell'impresa di strappare il Senato ai democratici, i repubblicani devono conservare i loro 41 seggi e guadagnarne dieci, tra cui i 5 in cui i sondaggi prevedevano un testa a testa (Pennsylvania, Illinois, Colorado, Nevada e Washington) e tre attualmente in mano ai democratici (Arkansas, Indiana e North Dakota) ma in cui i repubblicani sono favoriti. In Illinois però il democratico Giannoulias ha strappato la vittoria al rivale Kirk
In caso di parità (50 a 50), il vice-presidente Joe Biden avrebbe il potere di spezzare l'equilibrio col suo voto

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