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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2010 alle ore 08:19.
Il direttore Gianni Riotta risponde ai lettori sul Sole 24 Ore in edicola.
Ho letto i ricordi che Il Sole ha pubblicato in memoria di Ted Sorensen, il braccio destro del presidente Kennedy da poco scomparso. E non ho potuto fare a meno di pensare ai tempi, io non ero ancora nata, in cui si poteva parlare di Nuova Frontiera e un leader poteva chiedere d'impegnarsi per il proprio paese. Erano i tempi, mio padre me ne parlava sempre, in cui Kennedy poteva creare i Peace Corps, sorta di esercito di pace per intervenire nei paesi poveri, volontari americani ovunque. Che nostalgia quando vedo i nostri leader così incapaci di creare ideali ed esempi. Ho 29 anni e non so se mai ne vedrò. Volevo chiederle se ha conosciuto di persona Sorensen e che tipo era?
Silvia Lenzi
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Cara Silvia, se posso: non farti mai illusioni. Leader appassionati ne esistevano nel passato, ne esistono nel presente, e ti assicuro ce ne saranno nel futuro. È la realtà poi, l'inerzia oppressiva che logora i leader (strenua nos exercet inertia, predicava Orazio: l'inerzia ci logora senza soste) riduce i sogni a frammenti. E si spera sempre che in quei frammenti resti qualcosa della virtù originaria. Malgrado tutto, il sogno di Kennedy arrivò almeno ad avviare la fine della Guerra Fredda, dare slancio ai diritti civili e rafforzare un'idea d'America che sapesse parlare al mondo. Aspettiamo i prossimi due anni di Obama (che oggi sarà spazzolato con forza dai suoi elettori) e vedremo cosa resterà del suo sogno, che pure tanto ha scaldato il cuore dei giovani, negli Usa e nel mondo. Sì, ho conosciuto Sorensen, grazie all'amico Viscusi dell'Eni a New York che gli era molto vicino. Ho conosciuto tanti dei tempi di Kennedy, lo storico Schlesinger, il diplomatico Bundy, il direttore del Post Bradlee. Nessuno aveva però il tocco di Sorensen, che temeva - scherzando - di essere ricordato da morto con un refuso, "Sorenson". Sapeva che solo le idee muovono davvero la realtà, e per questo Kennedy, allora senatore, aveva reclutato lo sconosciuto ragazzino Ted arrivato dalla provincia. Kennedy, eroe di guerra, metteva il suo destino politico nelle mani di un obiettore di coscienza, perché era il solo a potergli dire di no: quando le cose si fanno toste, diceva Bob Kennedy, mandiamo nello Studio Ovale Sorensen. Quando scrisse l'ultima lettera diplomatica a Kruschev per dirimere la crisi di Cuba, con i missili atomici davvero schierati, Sorensen sapeva che ogni parola, ogni messaggio mal interpretato avrebbe potuto distruggere la pace e il mondo. Scrisse, il vecchio pacifista al lavoro alla Casa Bianca, una lettera perfetta e il Cremlino accettò di fare un passo indietro. Snob, colto, amico delle belle donne ma senza volgarità, persuaso che la pace si difendesse con la forza ma soprattutto con le idee, meglio se composte con parole meravigliose: era campione dell'America che amiamo. E può capire, in questi giorni di acre odio populista, quanto ci manchi.