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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2010 alle ore 14:50.
La riforma del sistema tributario, che prevede lo spostamento del peso della tassazione dalle persone e dunque dai redditi personali alle cose intese non solo come consumi ma anche come «proprietà», spicca tra le misure strutturali prioritarie messe in campo dal governo Berlusconi per rimuovere uno dei principali ostacoli alla crescita italiana, l'elevato debito pubblico, e per migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
Nel testo che va oggi in consiglio dei ministri, la bozza del «programma nazionale di riforma» - da presentarsi a Bruxelles in formato definitivo il prossimo aprile - spiega a pagina 15 che la strategia del governo è «di assicurare ai contribuenti visibilità e misurabilità dei risparmi indotti da recuperi di efficienza, spostando il prelievo dalle persone alle cose (ben) amministrate». In sintesi, gli elementi chiave di questa strategia sono condensati in tre punti: «dalla tassazione sui redditi personali alla tassazione sulla proprietà e sui consumi», dalla complessità alla semplicità, dal centro alla periferia.
Tutto da spiegarsi, in prospettiva, il riferimento alla «proprietà», (che tipo di beni o patrimoni) che in questo testo sulle "cose" viene messa sullo stesso piano (come nel Libro bianco del dicembre 1994) e menzionata prima ancora della tassazione sui consumi, cioè l'Iva. Il processo di riordino del sistema tributario, viene reiterato nella bozza, persegue l'obiettivo essenziale «della massima possibile coincidenza tra la cosa amministrata e la cosa tassata».
Il programma di riforma enfatizza, nel contesto del consolidamento delle finanze pubbliche, altri importanti interventi come quelli operati finora sul sistema pensionistico, l'avvio del federalismo fiscale e il corposo piano di sviluppo per il sud, che comprende anche «la Banca del Mezzogiorno per aumentare l'offerta di credito con modalità più vicine ai territori»: la riduzione del debito pubblico dovrà andare avanti di pari passo con le misure per aumentare la crescita.
Nel testo in discussione al Cdm oggi vengono elencati anche i punti di forza dell'economia italiana, «risultata meno esposta ai fattori di debolezza quali l'elevato indebitamento delle famiglie, la bolla del settore immobiliare e le difficoltà del settore bancario». Il debito aggregato italiano (definito come somma del debito delle famiglie, delle istituzioni senza scopo di lucro, delle imprese non finanziarie e della Pa) nel 2009 è risultato pari al 241% del Pil, registrando un livello più contenuto rispetto alla media dei paesi europei. All'interno del settore privato, l'anno scorso le famiglie italiane sono risultate «comparativamente poco indebitate (42,2% del Pil)».