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Al centro di tutto Matteo Messina Denaro

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2010 alle ore 21:00.

L'ultimo sequestro risale a qualche mese fa ed è stato eseguito dagli uomini della Direzione investigativa antimafia. Un patrimonio di oltre un miliardo sottratto all'imprenditore del settore eolico Vito Nicastri di Alcamo, con collegamenti in tutto il mondo, anche con insospettabili società straniere. Ecco, per gli inquirenti quello di Nicastri, faccia pulita della mafia che si è fatta impresa e punta a contare sempre di più in economia, sembra quasi il modello che tutti cercano di imitare ed è il modello di una mafia che si è modernizzata.

Se aggiunto ai 700 milioni sequestrati a Giuseppe Grigoli, patron della Sisa in provincia di Trapani con influenza in tutta la Sicilia occidentale, e ai 600 milioni sequestrati a Rosario Cascio, imprenditore del settore edile con interessi in un'area a cavallo fra Trapani e Agrigento, arriviamo a una cifra poderosa che dimostra quanto e quale potere abbia Cosa nostra in quest'area. «Al potere economico – ha spiegato il capo della procura antimafia di Palermo Francesco Messineo – corrisponde il potere politico: in tutta la Sicilia occidentale la mafia può contare su almeno 300mila voti». E della Sicilia occidentale Trapani non è parte certo secondaria.

Questi sono solo un paio di aspetti di una situazione complessa che vede al centro sempre il giovane Matteo Messina Denaro, boss con solide parentele con la mafia palermitana (è imparentato con i Guttadauro di Brancaccio) ma soprattutto rampollo di una famiglia di solido pedigree mafioso e protagonista indiscusso della stagione delle stragi nel nostro paese. A lui fanno capo tutti gli interessi della Sicilia e a lui si rivolgono in tanti per avere il via libera sugli affari (lo ha fatto il boss agrigentino Giuseppe Falsone, lo ha fatto il boss Gerlandino Messina arrestato in un appartamento nel pieno centro di Favara).

Messina Denaro è ritenuto il vero proprietario dei beni di Giuseppe Grigoli ma anche l'unico ad avvantaggiarsi dalle attività imprenditoriali di tanti altri. Un boss, hanno detto e dicono gli investigatori, che può godere di tante complicità anche nella buona borghesia trapanese, oltre ad aver goduto dell'aiuto di uomini dei servizi segreti più o meno deviati: il suo scambio epistolare con l'ex sindaco di Castelvetrano, assoldato dai servizi segreti, è ormai parte della letteratura criminale.

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Tags Correlati: Agrigento | Carlo Palermo | Francesco Cardella | Gerlandino Messina | Giuseppe Falsone | Matteo Messina Denaro | Mauro Rostagno | Rosario Cascio | Trapani

 

Al centro di tutto questo c'è lui, Matteo, il quale ha sempre tirato le fila probabilmente conscio del fatto che qui, nel trapanese, la provincia che grazie al vino e ad altre attività come le cave è oggi tra le più ricche del paese, tra il potere e la mafia non esiste distanza. Non mancano indagini in cui almeno un indagato è consigliere comunale, provinciale o deputato regionale. Non è solo questione di procedura penale, ma anche di condizione atavica della società trapanese, capace di dimenticare con indifferenza l'attentato al giudice Carlo Palermo (uno dei tanti attentati libanesi che la Sicilia ha conosciuto) che costò la vita a innocenti o l'omicidio di un uomo scomodo come Mauro Rostagno, compagno di quel Francesco Cardella che si è lasciato dietro tanti misteri.

Qui l'imprenditoria sta cercando di fare i conti con ciò che è stato anche verso la nuova Calcestruzzi ericina, sottratta alla mafia e affidata ai lavoratori costituiti in cooperativa: l'atteggiamento del contesto, avaro di commesse, è cambiato solo dopo l'intervento delle autorità di polizia. Anche questo è "merito" della zona grigia che, sembra, a Trapani conta spesso più dello stato.

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