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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2010 alle ore 06:37.
NEW YORK. Dal nostro corrispondente
La Fed ha deciso: 600 miliardi di dollari pronti a inondare il mercato da qui alla prima metà dell'anno prossimo. Mossa largamente anticipata, controversa, provocatoria e secondo alcuni potenzialmente inutile: ma la Banca centrale americana dopo due giorni di lavori ha confermato di voler proseguire lungo la strada del quantitative easing, l'accomodamento quantitativo, con un ruolo che le consentirà di sostituirsi alla politica che langue e comunque persa in altre battaglie per stimolare la crescita economica. E dunque anche a partire da oggi, la Banca centrale americana interverrà sul mercato con acquisti di titoli del Tesoro per aggiungere liquidità a un'economia che si ostina a crescere lentamente, per giunta senza aggiungere posti di lavoro. Alla sua missione che le impone il controllo dei prezzi, ma anche di mantenere l'occupazione, la Fed ha così giustificato il suo intervento: i prezzi restano stabili, l'occupazione no.
La domanda di rimando è però un'altra: per quanto tempo i prezzi saranno stabili? «Credo che le possibilità di un ritorno dell'inflazione non sia da escludersi. I mercati hanno già in parte scontato l'azione. Ma solo in parte, dal punto di vista del cambio prevedo una svalutazione del dollaro del 20% a partire da questi livelli» ha detto ieri Bill Gross, il fondatore di Pimco, uno dei più grandi fondi di gestione del mondo. La sostanza della decisione di ieri è di natura politica. Non c'è una emergenza come poteva esserci un anno e mezzo fa, quando i mercati del credito si erano prosciugati. Le banche hanno ritrovato il passo per rimettere ordine nei loro bilanci e fanno profitti a palate. Non solo, è vero che l'economia cresce poco e senza produrre occupazione, ma cresce, e persino a ritmi invidiabili per l'Europa, attorno al 2% per l'ultimo trimestre.
Non vi è emergenza dunque, ma vi è la necessità a medio termine di un rilancio dell'occupazione e di un prosciugamento della bolla immobiliare attraverso appunto l'inflazione. Che questo abbia un impatto sul resto del mondo per ora l'America non sembra considerarlo. Ma l'impatto ci sarà, eccome. Valute di paesi emergenti si sono rafforzate ad oltranza. In molte capitali la manovra americana viene considerata di natura più «protezionista» che «assistenzialista». E il confronto avverrà fra una settimana, durante le riunioni dei capi di stato e di governo al G20 coreano.