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A piedi sulle montagne del Nepal, un paradiso dove l'ecologia è di casa (come i pannelli solari)

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2010 alle ore 15:32.

Poon Hill. Il nome fa pensare ad una collina. Invece, è così che i nepalesi chiamano un incredibile balcone naturale, a 3210 metri d'altitudine, affacciato sulla catena montuosa più famosa del pianeta. Una larga piattaforma, dalla quale si può ammirare il formidabile spettacolo delle vette himalayane disposte a corona. Naturalmente per i nepalesi, abituati a vivere circondati da cime che spesso superano i 6/7000 metri, questa è davvero una collina.
Ma per chi non è uno sherpa o un gurung, come si chiamano gli abitanti di questa regione nel centro-nord del Nepal, arrivare fin qui non è uno scherzo.

Ci vogliono due giorni di cammino per raggiungere Ghorepani, l'ultimo villaggio prima di Poon Hill. Ma se il primo tratto di strada consiste in quattro- cinque ore di trekking piuttosto agevole, il secondo giorno la musica cambia. Il dislivello da superare è di oltre 1300 metri ma questo non sarebbe nulla, se il percorso non iniziasse con la famigerata "scalinata di Ulleri". Due ore filate di gradini alti e ripidissimi che ti tolgono il fiato soltanto a guardarli. Basta alzare la testa perché lo sguardo si perda lungo la scala di pietra che si inerpica tra i prati verdissimi e che pare non finire mai. Arrivati in cima, poi, si entra in una splendida foresta di querce e rododendri alti quasi venti metri. Da qui si prosegue per altre quattro-cinque ore, tra boschi e vallate, prima di scorgere le sagome bianche e azzurre delle case di Ghorepani.

Strutture ed ecologia. Quello che sorprende dei lodge disseminati qua e là nelle viuzze del villaggio, e in generale in molti piccoli centri nella regione dell'Annapurna, sono l'organizzazione e i servizi che queste strutture sono in grado di offrire.
Con un afflusso di circa 60mila trekker all'anno è questa l'area più frequentata dagli appassionati di montagna che visitano il Nepal. Per la bellezza naturale, ovviamente, visto che in molti considerano questo uno dei trekking più belli al mondo. Ma anche per le comodità che si trovano lungo il percorso. Qui, è possibile arrivare fino a 4000 metri e oltre incontrando una miriade di rifugi e teahouse, nelle quali fermarsi per una notte, per uno spuntino o anche soltanto per una sosta. Il tutto con un rispetto dell'ecologia, se non impeccabile, quanto meno sorprendente. In molti casi, per esempio, l'acqua non viene più riscaldata bruciando legna e disboscando le foreste ma con moderni pannelli solari. Così, anche a 3000 metri, può capitare di trovare una stanza con il bagno privato e l'immancabile doccia calda senza, per questo, dover inquinare il meraviglioso ambiente dell'Himalaya.

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Tags Correlati: Dalai Lama | Dhaulagiri | Fish | Gurung | Hinchuli | India | Machhapuchhare | Nepal | Pechino | Pokhara | Poon Hill | Tibet | Tutela ambientale

 

Ma non finisce qui. A Pokhara, seconda città del paese e base di partenza per molti dei trekking più importanti, decine di negozietti e supermercati espongono grossi contenitori di acqua potabile con la quale riempire le bottiglie usate, invece di disseminare l'area di plastica. Piccoli accorgimenti che non sono per nulla scontati in quest'area del mondo (basti pensare alla vicina India) e che fanno ben sperare per il futuro.

Poon Hill. La sveglia a Ghorepani suona presto, poco dopo le quattro. Giusto il tempo di vestirsi e si parte, per raggiungere Poon Hill prima del sorgere del sole. Ci si deve arrampicare ancora per un'ora, illuminando il ripido sentiero con la pallida luce delle torce aiutati, se il cielo è sereno, dalla miriade di stelle che rischiarano le notti himalayane.
Arrivati a destinazione, comunque, lo spettacolo ripaga di ogni fatica. Ancora avvolte dal mantello della notte, dapprima le montagne si stagliano come ombre, lasciando appena intravedere il candore degli immensi ghiacciai. Poi, quando i primi bagliori del sole incominciano a squarciare il velo di oscurità, i bianchi picchi innevati sono i primi ad accendersi, uno dopo l'altro. Allora, nella luce incantata dell'aurora, sembra di assistere all'alba primordiale, al giorno che nasce per la prima volta sul mondo.
Davanti agli occhi appaiono, tra gli altri, il Dhaulagiri e l'Annapurna 1, entrambi alti più di 8000 metri, l'Hinchuli e l'Annapurna Sud. E ancora il Tarke Kang e il Machhapuchhare (chiamato anche Fish Tail per via della sua forma a pinna di pesce), la montagna sacra a Shiva che è rigorosamente proibito scalare. Quando il sole è ormai alto, le cime si ergono maestose nel loro bianco quasi accecante, circondate dall'azzurro intenso del cielo. I piccoli aeroplani bimotore diretti a Jomsom, passano al di sotto delle vette come se non osassero issarsi più in alto delle dimore himalayane degli dei.

A rompere l'incantesimo ci pensano, però, le comitive di rumorosissimi cinesi che invadono, letteralmente, la regione. Quando arrivano, sono spesso preceduti dalle loro urla che squarciano il silenzio delle montagne. Qui si vede davvero la nuova Cina, quella di chi ha fatto i soldi, viaggia e, soprattutto, considera tutta l'area dei Paesi confinanti, dalla Cambogia al Nepal, una sorta di giardino di casa. La nazione di Hu Jintao, recentemente incoronato da Forbes come l'uomo più potente del mondo. I suoi concittadini, qui, appaiono diversi da quelli che siamo soliti vedere in occidente. Sono le nuove generazioni. Giovani che improvvisamente si scoprono ricchi, sicuri di sé e sprezzanti verso i loro vicini di casa. Ovviamente i nepalesi non li amano ma hanno bisogno di soldi, quindi in qualche modo devono farseli piacere.

Gurung. In questa regione vivono i Gurung, popolazione fiera di contadini, pastori e soldati. Tra loro vengono scelti i famosissimi guerrieri Gurkha. Un destino dettato, oggi, soprattutto dalla povertà. La vita in queste zone, bellissime per i viaggiatori, è estremamente dura per chi deve abitarci. Oltre una certa altitudine i sentieri sono troppo stretti anche per i muli e ogni cosa deve essere portata in spalla. Non è raro, infatti, vedere uomini e donne carichi all'inverosimile che si arrampicano su stradine scoscese calzando dei sandali e vestiti con indumenti inadeguati alla temperatura. Ammalarsi, comunque, è un lusso che non si possono permettere perché in questi villaggi mancano quasi del tutto i farmaci. Non a caso, sono in molti a ripetere come una litania che l'alcol è la loro medicina: li riscalda e li aiuta a non sentire la fatica. Come capita a volte agli abitanti delle montagne, ritengono che a loro non faccia male.

I tratti somatici dei Gurung ricordano quelli dei tibetani e, per lo più, sono anche loro buddhisti. Nel villaggio di Ghandruk, uno degli insediamenti più importanti circondato da verdi piantagioni di miglio, si può osservarli camminare nei loro abiti tradizionali. Una sorta di grembiule per gli uomini e delle vesti colorate, che ricordano ancora una volta quelle delle tibetane, per le donne il cui abbigliamento è completato da foulard e grandi collane.
Krishna fa la guida, uno de mestieri più tradizionali per chi conosce queste montagne come le sue tasche. Ma anche un lavoro pericoloso, che lo porta lontano dalla famiglia per settimane e settimane e che, naturalmente, deve svolgere senza nessuna forma di assicurazione. Se qualcuno gli chiede di accompagnarlo in un trekking in pieno inverno o nel periodo del monsone è costretto ad accettare ma se dovesse avere un incidente, cosa piuttosto frequente per chi fa il suo lavoro, la moglie e i figli piccoli non avrebbero più alcun mezzo di sostentamento. Una vita difficile ma Krishna si scrolla le preoccupazioni di dosso con un sorriso, dice qualche parola in un buon inglese e poi fa risuonare la sua inconfondibile risata. La politica non gli interessa, è abituato come tutta la sua gente a non essere aiutato da nessuno. « Lo stato- dice- non ci ha mai dato nulla. I maoisti sembrerebbero stare dalla parte della povera gente ma, finora, non hanno fatto niente neanche loro. Al momento non abbiamo neppure un governo». Neanche a dirlo, da giovane ha fatto anche lui il soldato, per un anno nell'esercito indiano, in Kashmir.

I rifugiati tibetani. E tra i Gurung, soprattutto dietro alle bancarelle che vendono souvenir, da queste parti si incontrano anche molti tibetani. Sono uomini e donne fuggiti dalla furia cinese che ha devastato la loro terra oppure sono i figli di coloro che sono scappati dall'invasione di Mao. I visi sorridenti, i modi gentili, sono persone dignitose che portano con loro una sofferenza terribile.

A Tadapani, nella penultima tappa del trekking, una ragazza dolcissima ci spiega la loro condizione. Il Nepal li ha accolti è vero, ma non ha fatto niente di più. Non ha dato loro la cittadinanza, non ha regolarizzato in alcun modo la loro posizione. Ad oggi, molti rifugiati non possono uscire dal Paese, non hanno il diritto neppure di possedere un pezzetto di terra. L'unica attività che rimane loro è quella di vendere gli oggetti di artigianato che producono. «Possiamo fare soltanto questo- confessa la ragazza- ma quando i turisti tornano per la seconda, la terza volta, sono stufi di comprare le nostre cose…È davvero dura». Lei non possiede neppure un banchetto, si porta tutto nello zaino e, se qualcuno la degna di uno sguardo, posa le sue poche cose per terra per mostrarle, senza alcuna insistenza, al possibile acquirente. Quando le dico « Speriamo che le cose si mettano meglio per il Tibet», alza lo sguardo e mi risponde senza esitazione« Speriamo che il Tibet torni libero!» . Ha ragione. E' venuto davvero il momento che il mondo faccia qualcosa per questo popolo fiero e gentile, sfinito dopo cinquant'anni di feroce dominazione. Invece, da quando la Cina è diventata ricca, nessun governo osa più alzare la voce contro l'occupazione del Tibet, anche se l'opinione pubblica occidentale rimane, per lo più, schierata contro Pechino.

Ma per i governi sembra che ormai la terra del Dalai Lama sia diventata, di diritto, una provincia del Celeste Impero. Così, per esempio, in Italia assistiamo ad un curioso paradosso. Mentre i partiti più xenofobi tuonano contro la comunità cinese, costituita almeno in parte da persone fuggite anni fa dalla terribile dittatura maoista e dai loro figli, tutti, a prescindere dal colore politico, sono poi magicamente pronti a chinare la testa di fronte allo strapotere del governo di Pechino. Per i tibetani l'indifferenza dell'occidente divenuto improvvisamente "amico" della Cina, dopo il sostegno ottenuto per molti anni, è difficile da capire.

È a questo che penso mentre scendo a valle, verso Pokhara dove ho visitato i campi dei rifugiati tibetani, dove ho visto la miseria e la desolazione di un popolo da troppo tempo senza una patria. Ancora qualche ora di cammino e poi salirò su di un auto che mi riporterà in una città cresciuta forse troppo e troppo in fretta ma che non ha ancora perso del tutto il suo fascino. Lontano dalle vette incantate delle montagne, dai minuscoli villaggi colorati, da questa gente semplice e ospitale. Non tanto lontano, però, da non poter gettare un ultimo sguardo alle cime himalayane che, quando il cielo è sereno, si specchiano come impassibili, eterni giganti nelle placide acque del lago di Pokhara.

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