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Terzigno capitale dell'Inps. Nel paese anti-discarica il 40% dei redditi arriva dall'ente di previdenza

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2010 alle ore 09:44.

A Terzigno, il paese vesuviano della rivolta contro le discariche, c'è la camorra, comanda il clan Annunziata-Aquino, specializzato - come quelli Fabbrocino e Pesacane - in commercio di droga con addentellati nell'edilizia, trasporti e gestione illegale di rifiuti tossici nocivi. Manca il lavoro, quel poco che c'era nel settore tessile-abbigliamento lo hanno letteralmente sfilato i cinesi, arrivati in massa.

L'abusivismo edilizio impera, il comune ha appena stanziato 200mila euro per esaminare le pratiche dei condoni edilizi dell'85 e del '94, mai toccate. Una famiglia su due aveva condonato 25 anni fa, poi lo scempio è continuato, si è dilatato.
Terzigno vanta la più bassa percentuale di contribuenti della provincia di Napoli, area di per sé non famosa per fedeltà fiscale. I redditi teoricamente imponibili arrivano a 75 milioni, pari a 11 euro al giorno, sufficienti per pane e latte, brioche a giorni alterni. Il 40% di questi redditi arriva dall'Inps sotto forma di pensioni, invalidità e indennità di disoccupazione: vale a dire 5 euro al giorno per ogni abitante, lattanti compresi. Se si aggiungono le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici si supera il 50%, una via di mezzo tra il modello di welfare scandinavo e una città sovietica dove lo stato è onnipresente, a partire dai redditi, livellando tutto verso il basso.

Nel mondo da anni si parla di economia web 2.0, alcuni visionari azzardano un 3.0, Terzigno, epicentro della «questione spazzatura», arranca in un sistema 0.2 dove l'illegalità della camorra convive con una società a-legale. Un'economia in cui l'arrangiarsi è elevato ad Arte con la a maiuscola. Dove i vivi hanno vita difficile, i morti anche. Da agosto le luminarie al cimitero sono spente per la morosità della ditta che gestiva l'appalto, la dipartita della vedova Filomena "detta Calonica 'e cocuzzo" è annunciata con caratteri cubitali su muretti, pali della luce e torrette Telecom, tra lenzuola antidiscarica, pubblicità e graffiti vandalici - neanche il decoro di uno spazio espositivo per gli annunci dei morti.

Parlano di dittatura del degrado, parole sacrosante. Nell'economia 0.2 di Terzigno vivono ufficalmente 17.655 abitanti, in realtà sono molti di più anche se nessuno è in grado di quantificare. Molti residenti sono emigrati, altri - qualche centinaia - sono tornati per la crisi globale. E poi ci sono gli immigrati. I regolarizzati sono 1.408, di cui 913 cinesi, quelli che vivono nel limbo sono molti di più, c'è chi dice cinquemila, chi seimila. Quasi tutti cinesi, praticamente un paese nel paese. Nell'economia 0.2 non è arrivato il made in China a sconvolgere i fragili equilibri nazional-produttivi, si sono installati direttamente i cinesi che hanno trasformato Terzigno in una piccola Prato specializzata nell'abbigliamento della fascia bassa, bassissima. E con i loro costi infimi, insostenibili anche per il lavoro nero italiano, hanno letteralmente sfilato di mano l'industria (si fa per dire) dell'abbigliamento ai terzignesi.

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Tags Correlati: Agenzia Entrate | Annunziata-Aquino | Camera di Commercio | Domenico Auricchio | INPDAP | Inps | Inquinamento | Istat | Massimo Troisi | Michele Amoruso | PDL | Telecom | Terzigno | Vincenzo Ambrosio

 

Una mazzata. I dati ufficiali, elaborati da Cerved group, parlano di 1.660 imprese terzignesi attualmente registrate presso la Camera di commercio: il 52% è impegnato nel commercio, con qualche supermercato, tanti negozietti e microattività marginali, il 17% nell'industria, vale a dire un po' di carpenteria, edilizia e artigianato - nell'economia 0.2 un'impresa si qualifica grande quando arriva a 20-30 dipendenti - nel tessile abbigliamento sono rimaste 166 aziendine. L'indice Cerved group sul tasso d'imprenditorialità è molto alto: 9,4 imprese ogni cento abitanti contro una media di 7,8 della provincia di Napoli. Nelle economie normali sarebbe un indicatore di vitalità e dinamismo, tipico dei grandi distretti industriali che hanno fatto la fortuna dell'Italia manifatturiera. Nell'economia 0.2 di Terzigno va letto in modo opposto: microimprese con uno o due addetti, di solito i famigliari, in attività sempre più marginali, senza tecnologie e prospettive.

Per reggere la concorrenza del made in China in stile Terzigno c'erano solo due strade: alzare la qualità o abbassare ulteriormente i costi. L'economia 0.2 ha imboccato con decisione quella sbagliata, tessuti più scadenti e lavoro in nero. Un'economia a-legale, organizzata con laboratori, tinelli e magazzini che servono gli opifici paralleli. Li vedi dappertutto, trovi anche un micropolo logistico fatto di tubi Innocenti e pareti di plastica ondulata nella vegetazione della zona del Parco naturale del Vesuvio dove, a parte le maxidiscariche, è vietata qualsiasi costruzione. I camion scaricano masse di tessuti, i furgoni ritirano rotoli di cotone, tutto in strada, senza timori di controlli e verifiche, con chiassose contrattazioni mentre le banconote passano di mano.
Massimo Troisi anni fa aveva fatto un lungo ragionamento sul fatto che a Napoli la parola lavoro non arriva mai da sola: è sempre accompagnata da qualcosa, come lavoro nero, minorile, occasionale, alla giornata, a tempo determinato, saltuario o senza. La fulminazione del comico napoletano, che sintetizza efficacemente centinaia di ricerche macroeconomiche, vale per Napoli, è attuale per Terzigno. L'edilizia, anche quella abusiva, si è fermata. In agricoltura le proprietà sono spezzettate in una media di mezzo ettaro, sufficienti a garantire redditi da sopravvivenza. La terra nera del Vesuvio è difficile da lavorare, non trattiene l'acqua, è ricca di minerali. La produzione è nettamente inferiore a quella che si ottiene in aree normali, ma di qualità eccellente. Manca però un approccio imprenditoriale che permetta di valorizzare queste eccellenze.

Ci sono, per fortuna, le eccezioni. Vincenzo Ambrosio è imprenditore di successo con la sua Villa Dora, azienda biologica certificata, che produce 40mila bottiglie di Lacryma Christi, straordinario vino doc dei paesi del Vesuvio, venduto nelle migliori enoteche italiane, esportato negli Stati Uniti, in Giappone e in Germania. C'è anche l'olio Villa Dora, 20mila bottiglie da mezzo litro ricavato da 1.400 ulivi, ognuno dei quali produce 15 chili di olive l'anno, contro i 100-150 chili di un normale uliveto pugliese. Olio con pochissima acidità, che sarà premiato tra una settimana con cinque gocce e medaglia d'oro dall'associazione dei sommelier. Ambrosio ha sperimentato colture, ha portato l'invecchiamento a otto anni, ha investito in sistemi tecnologici: «Con l'Ente parco abbiamo fatto un lavoro incredibile per creare un marchio, alzare la qualità, selezionare prodotti. Un impegno che rischia di essere rovinato dalla discarica e dal danno d'immagine dell'intero territorio. Continuo a chiedermi il perché, ma non trovo risposta».

La discarica ha colpito duro sul sistema 0.2 di Terzigno. Michele Amoruso, giovane e battagliero dottore commercialista, ha fatto una ricognizione dei danni sui paesi dell'area vesuviana: «Le prenotazioni alberghiere in questi mesi sono crollate del 50%, moltissimi ristoranti e locali, anche storici, sono stati costretti alla chiusura. E sui mercati nazionali i prodotti ortofrutticoli della zona sono guardati con sospetto, gli operatori temono inquinamento da discarica, i prezzi calano».
Amoruso incalza: «L'Ente parco finora ha investito 82 milioni per salvare l'area dal degrado ambientale, promuovere il turismo e valorizzare le produzioni agricole e alimentari. Cava Sari ha colpito duro, cava Vitiello, che sarebbe stata la più grande discarica d'Europa, avrebbe avuto effetti devastanti. Il tutto in un'area con una densità abitativa di 2.233 abitanti per chilometro quadrato mentre nelle zone di Avellino o Benevento si arriva a 200 e anche meno».

Una situazione da far tremare i polsi, anche prima della discarica, figuriamoci dopo. I numeri fiscali indicano lo stato di disastro economico: le 5.565 famiglie ufficiali di Terzigno dichiarano al fisco redditi da fame, con una media procapite di 4.359 euro, vale a dire 11,8 euro al giorno. Solo un contribuente su quattro presenta dichiarazione fiscale, con Crispano la più bassa percentuale dell'intera provincia di Napoli. All'Agenzia delle entrate risultano 17 terzignesi che guadagnano più di 100mila euro l'anno, 107 superano i 50mila, tutti gli altri sono sotto, di tanto. Quasi metà dei contribuenti, il 45% per essere precisi, è abbondantemente sotto i 15mila euro l'anno. Secondo l'Agenzia delle entrate, il reddito totale imponibile prodotto dai terzignesi è di poco più di 76 milioni di euro. Il 40% di questi 76 milioni arriva dall'Inps sotto varie forme: 1.145 pensioni, 1.297 indennità per invalidi, 900 assegni sociali o pensioni a superstiti per un totale di 22 milioni l'anno. Cui vanno aggiunti una decina di milioni che arrivano da 1.507 assegni per disoccupazione, mobilità e indennità agricole varie. Se poi a questi milioni dell'Inps, forse gli unici dati certi visto che si tratta di denari stanziati e riscossi, si aggiungono le pensioni degli statali erogate dall'Inpdap e gli stipendi dei dipendenti pubblici (una cinquantina solo nel municipio) probabilmente si supera la soglia del 50%, una situazione da città sovietica. Suona bene, Terzignoskj, dove l'attività privata è stata superata.

L'economia 0.2 mal sopporta le leggi, ignora le regole. Soprattutto quelle edilizie, l'abusivismo impazza. All'Istat risultano 5.474 abitazioni e 3.732 edifici a uso non abitativo come box, laboratori o magazzini. All'Agenzia del territorio si limitano a segnalare che ci sono 1.083 particelle catastali non registrate, che equivalgono ad alcune migliaia di abitazioni. E fanno un ragionamento semplice: in Italia c'è praticamente una costruzione (di qualsiasi tipo, dal box alla supervilla o all'impianto industriale) per abitante. Quindi a Terzigno dovrebbero esserci almeno 14-15mila edifici. In sintesi, cinquemila costruzioni, a stare stretti, mancano all'appello.
L'abusivismo, nell'economia 0.2, non ha pudori di sorta. Per fare un po' di ordine il comune ha bandito, nove mesi fa, un concorso pubblico per affidare a professionisti esterni l'esame delle 2.523 pratiche dei condoni edilizi del 1985 e del 1994, rimaste diligentemente ammucchiate negli scantinati comunali senza neanche essere catalogate. Costo dell'operazione: 200mila euro «oltre l'Iva e ulteriori oneri contributivi», più di quanto hanno incassato all'epoca le già allora esauste casse pubbliche, l'ennesimo paradosso di un'economia 0.2. I professionisti esterni sono chiamati a un complicatissimo lavoro burocratico perché in 25 anni le abitazioni condonande magari sono passate più volte di mano, i proprietari sono emigrati, morti, scomparsi. O, più frequentemente altri abusi si sono aggiunti agli abusi di cui si era fatta richiesta di condono.

Per «dare certezze ai cittadini e restituire dignità a Terzigno» - spiega il sindaco, Domenico Auricchio, un commerciante di nocciole da 32 anni impegnato nella politica locale («Sempre nella maggioranza», assicura) - entro fine anno dovrebbe arrivare il primo piano regolatore. Ci sono voluti 42 anni di scontri e dibattiti. «Di agonia», dice il sindaco. Il piano regolatore regola quello che è già costruito, aumenta superfici e volumetrie edificabili, prevede una nuova zona industriale. «Daremo nuove opportunità all'edilizia, che è importante per il nostro territorio», promette il sindaco.
Entro fine anno i terzignesi devono presentare domanda per allacciarsi alla rete del metano, abbandonando finalmente le vecchie, poco sicure, bombole del gas. Allaccio a prezzo politico, 42 euro Iva compresa, con uno sconto dell'80%, assicura il sindaco. Il comune ha stanziato 2,5 milioni per la gara, vinta da un'impresa forlivese. Poi toccherà alle strade, ora in uno stato pietoso, è tecnicamente impossibile trovare cento metri di asfalto decente, i rattoppi pradroneggiano.

Ma questi sono programmi di lungo periodo, ora Terzigno è ancora completamente impegnata sul fronte dei rifiuti. Le "mamme vulcaniche" restano diffidenti, non si accontentano della promessa di non aprire la famigerata cava Vitiello, pretendono la chiusura immediata dell'attuale discarica, cava Sari. Non vogliono essere mischiate con gli agitatori violenti, che hanno incendiato 14 camion autocompattatori e danneggiato un'altra ventina, con un costo che supera i 10 milioni. Il sindaco invece gongola, mostra a tutti il foglio A4 con in bella vista la firma del premier, canta vittoria: «Il presidente non poteva tradire Terzigno». Perché Berlusconi ha un debito con il sindaco Auricchio. Risale a quando il premier è salito sul predellino per annunciare la nascita del Pdl. Marchio che non poteva essere depositato perché utilizzato un anno prima, per le elezioni comunali, proprio da Auricchio: «Non riuscivo a fare una lista con i partiti tradizionali del centro-destra, all'ultimo minuto ho inventato una lista Pdl, con la quale ho vinto». Auricchio ha ceduto il marchio gratuitamente, qualche giorno fa è passato all'incasso dal premier.
La lotta alla discarica monopolizza tutta la tensione, nessuno fa caso ai rifiuti sparsi ovunque, davanti al municipio troneggia una campana per il vetro sfondata, un'altra è strapiena, accanto pneumatici abbandonati, tubi e vetri rotti. Sulla strada che limita il parco del Vesuvio trovi sacchi dappertutto, montagne di residui di filati. Dicono che è colpa delle lotte di questi giorni, assicurano che tutto sarà messo a posto, ma molti mucchi danno l'idea di essere stanziali da molto tempo.

Il comune si è impegnato ad accelerare sulla raccolta differenziata, avviata nel 2008, che ora ha raggiunto quote considerevoli, anche se, come al solito, i numeri non quadrano. Il sindaco parla del 40%, altri azzardano il 51%, la promessa è di arrivare al 70% entro breve, facendo anche manifesti in mandarino per coinvolgere i cinesi, secondo il sindaco tra refrattari a dividere carta, plastica e vetro. Nell'economia 0.2, ma non solo, la colpa è sempre degli altri.

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