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Commenti e Inchieste

La vera spina per il Pd è lo scetticismo sul governo «tecnico»

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2010 alle ore 10:44.
L'ultima modifica è del 06 novembre 2010 alle ore 06:39.

Le critiche all'iniziativa del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, sono state così numerose dall'interno del Pd, e in parte giustificate, che non vale la pena riproporle qui. Bisogna tuttavia riconoscere che il giovane fiorentino (d'intesa con il coetaneo lombardo Giuseppe Civati) ha smosso le acque. Lo ha fatto nel modo urticante che gli è stato rimproverato. E in effetti la storia dei «rottamati» è di pessimo gusto e non avvicina di un passo l'obiettivo di favorire un ricambio generazionale al vertice del partito.


Da quando esiste la politica, lo scontro intestino fra chi detiene il potere e chi vorrebbe conquistarlo è doloroso, talvolta cruento; ma di solito non si pensa di risolverlo lanciando proclami un po' demagogici. Chi ha la forza di imporre il ricambio, passa all'azione. Chi la forza non ce l'ha, morde il freno e aspetta tempi migliori. In ogni caso non chiede ai dirigenti in carica di lasciare il passo in omaggio a un ambiguo «giovanilismo».
D'altra parte, i fuochi d'artificio verbali hanno procurato a Renzi l'attenzione dei mass-media, contribuendo a creare il profilo di un personaggio già oggi molto «mediatico» e di evidente successo. Ora si vedrà se l'ambizioso sindaco ha anche filo da tessere. Su un punto bisogna dargli ragione: sostenere che l'assemblea di Firenze è in se stessa «un danno per il Pd», come pure è stato detto, non è del tutto convincente. L'argomento di Renzi («meglio litigare prima delle elezioni e poi cercare di vincerle, piuttosto che andare uniti al voto, perdere e litigare dopo») ha una sua logica.


Semmai si tratterà di vedere in cosa consistono le famose idee nuove che il movimento sta mettendo a punto. L'astuzia non manca agli amici di Renzi, però alla lunga non è sufficiente. Ad esempio, si coglie una certa tendenza a trarre ispirazione da Beppe Grillo. La proposta del limite dei tre mandati per i parlamentari è un facile amo per raccogliere la simpatia dell'opinione pubblica, ma è parecchio discutibile. Oggi non si tratta di espellere dal Parlamento, con un meccanismo automatico, le poche persone di qualità che vi si trovano, quanto di innalzare tale indice qualitativo. Anche attraverso una diversa legge elettorale.

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Tags Correlati: Beppe Grillo | Comitato Esecutivo | Firenze | Giuseppe Civati | Governo | Matteo Renzi | Pd

 

Si vedrà. Oggi il sindaco di Firenze comincia la parte più difficile e tortuosa del suo percorso. Non è facile passare dalla condizione di «giovanotto arrogante» o «furbetto della Prima Repubblica» a quella di costruttore di un nuovo centrosinistra. Un'architettura che pretende addirittura di essere vincente.
Va detto però che su alcuni punti Renzi dimostra di avere idee chiare e controcorrente. Per esempio sulla questione chiave del governo «tecnico» o di transizione, la sua opinione è che si tratti di un pericoloso pasticcio: una manovra da ceto politico in cui gli svantaggi superano di gran lunga i vantaggi. Il rischio in effetti esiste. Anche perchè l'argomento usato e abusato (occorre un governo per rifare la legge elettorale) mostra la corda. Se l'accordo sulla riforma elettorale esiste, è il ragionamento di Renzi, si può procedere fin d'ora mettendo insieme i voti trasversali provenienti sia dalla maggioranza sia dall'opposizione. Se invece l'accordo non c'è, come sembra, allora ha poco senso costruirci sopra addirittura un nuovo esecutivo.
In fondo, il messaggio di questi giovani è: l'opposizione non deve avere paura delle elezioni e nemmeno trasmettere l'impressione di averla. Impossibile dar loro torto.

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