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Analisi / La crisi finora resta fuori dal Parlamento. Ma Berlusconi non sottovaluti l'avversario

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2010 alle ore 18:50.
L'ultima modifica è del 07 novembre 2010 alle ore 19:28.

Gianfranco Fini ha restituito il cerino al Cavaliere. Chiede a Berlusconi di farsi carico dell'apertura della crisi con le sue dimissioni per dar vita a un nuovo governo, minaccia il ritiro immediato della delegazione di FLi nell'esecutivo, qualora il premier non salisse al Quirinale, ma dice anche che i guppi parlamentari guidati a Camera e Senato, da Bocchino e Viespoli, continueranno a votare quei provvedimenti coerenti con le promesse elettorali fatte agli italiani. Allo stesso tempo smaschera il tentativo del premier di agganciare l'Udc, sostenendo che i centristi guidati da Casini non possono essere oggetto di una logica «mercantile», del «fuori uno dentro l'altro», e che dunque solo attraverso un nuovo inizio quel patto di legislatura rilanciato da Berlusconi può diventare credibile. Una conclusione forte alla quale arriva dopo oltre un'ora dall'inizio del suo intervento nel quale ripete le parole d'ordine di Futuro e Libertà e detta le priorità dell'agenda politica, prima fra tutte quella economica: il rilancio della competitività, dell'occupazione su cui finora la politica è stata assente lasciando da sole le parti sociali, nonostante le grida di allarme del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e dei sindacati.

Fini alza la posta. Mai finora era stato così esplicito. Tutto questo però avviene fuori dal Parlamento. E non è un dettaglio di poco conto. Perché solo in presenza di un voto di sfiducia alle Camere, il premier sarebbe costretto a rimettere il mandato nelle mani del Capo dello Stato. Ecco perché già in questi minuti gli uomini più vicini al Cavaliere lasciano capire che finché non si tradurranno in un voto, quelle del presidente della Camera restano solo parole. Berlusconi però deve fare attenzione, perché ha dimostrato più volte in passato di aver sottovalutato l'avversario. Alla Camera i finiani sulla Finanziaria non si sono tirati indietro, hanno mandato sotto il governo e imposto al ministro dell'Economia di scendere a patti su Sud e fondi per l'Università. E' un segnale che induce a pensare che su temi ritenuti prioritari i finiani sono pronti a tutto, anche a non votare la fiducia su una Finanziaria che non ritengono adeguata. Se così fosse, per Berlusconi la prospettiva di una crisi nel bel mezzo della sessione di bilancio sarebbe la prospettiva più pericolosa, perché l'eventuale spettro dell'esercizio provvisorio porterebbe inevitabilmente a quel governo tecnico che è il vero e unico timore del Cavaliere assieme alla perdita dello scudo garantitagli, almeno fino al 14 dicembre, dal legittimo impedimento.

Tags Correlati: Berlusconi | Camera dei deputati | Confindustria | Emma Marcegaglia | Gianfranco Fini | Governo | Mario Draghi | Senato | Udc

 

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