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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 07:58.
La crisi politica apertasi in quella che ormai può essere definita la ex maggioranza è sotto gli occhi di tutti. Ma al Quirinale, almeno in questa fase, si insiste soprattutto su un punto: gli eventi andranno valutati «per i loro effetti istituzionali». Solo quando sarà ben chiaro l'esito dello strappo di Gianfranco Fini, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano eserciterà le sue prerogative costituzionali, «con il rigore di sempre» si sottolinea al Colle. Al momento - questo è quanto affermava ieri sera un comunicato del Quirinale - il Capo dello Stato «non entrando nel merito di alcuno degli scenari politici evocati in varie sedi, presta soprattutto attenzione alle scadenza di impegni inderogabili per il Paese».
In sostanza, le preoccupazioni di Napolitano non riguardano le ipotesi di eventuali governi tecnici o istituzionali che siano, nè quella di elezioni anticipate, ma si dirigono in tutt'altra direzione. Tra gli impegni "inderogabili", la priorità assolta va all'approvazione in parlamento della legge di stabilità e del bilancio nei tempi dovuti. Il ragionamento è implicito e quanto mai eloquente: sarebbe molto grave la conseguenza, per effetto dell'apertura di una crisi al buio, di una mancata approvazione di due provvedimenti fondamentali per la tenuta dei conti e del collocamento dei titoli del debito pubblico presso gli investitori italiani ed esteri. Il paese sarebbe esposto al rischio di attacchi di una speculazione internazionale sempre in agguato, alimentata dalla perdurante incertezza che pesa sui mercati relativamente a tempi e modalità di uscita dalla crisi.
Attenzione poi agli effetti delle «gravi fibrillazioni e incertezze politiche e istituzionali», cui ha fatto cenno venerdì scorso. Lo ha detto chiaramente ai segretari delle organizzazioni sindacali ricevuti ieri al Quirinale: le parti sociali, al pari dei partiti, devono adoperarsi per evitare che le tensioni politiche abbiano effetti sulla stessa coesione sociale del paese.
Al Quirinale si resta in attesa delle prossime mosse. Si ragiona per ipotesi. Se la decisione di Silvio Berlusconi sarà quella di sostituire la delegazione di Fli nel governo, quando vi sarà la formale decisione delle dimissioni da parte del ministro Andrea Ronchi, il vice ministro Adolfo Urso, e i due sottosegretari Roberto Menia e Antonio Buonfiglio, Napolitano ne prenderà atto. Potrebbe però - e questo appare pressoché certo - invitare Berlusconi comunque a un passaggio parlamentare per verificare se può contare ancora su numeri sufficienti per governare, anche se non necessariamente attraverso un nuovo voto di fiducia. Nel mezzo, le altre opzioni, prima tra tutte il voto sulla mozione dell'opposizione (se ci sarà).