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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 06:36.
I microfoni, a Radio Padania Libera, si aprono alle sei del mattino. E, alle sei e zero uno, la voce di Paolo, che chiama dal Friuli, chiarisce subito l'umor nero della base verde: «Ancora una volta siamo nooooiii a tirare la carretta. Su le maniche, Nazione Veneta...».
Il Veneto sommerso, Pompei dove sarà anche venuta giù la Casa dei gladiatori ma poi non è morto nessuno, l'indifferenza del Palazzo romano, gli altri (Fini, Renzi e Bersani i più bersagliati) che non hanno detto una parola sul nubifragio. Qui, nella ridotta dove si è festeggiato per il gol del Paraguay contro la nazionale agli ultimi mondiali, per tutto il giorno si confrontano, si sovrappongono, si fondono e in parte si cancellano le due dimensioni del Carroccio. Un magma di parole e di umori che si ripeterà oggi, con quattordici ore di diretta, dalle sei del mattino alle otto di sera.
C'è l'ululato degli iscritti, che ogni volta al telefono scandiscono "Padania Libera", e c'è il ribellismo pragmatico e ormai istituzionale della dirigenza del partito, che nelle trasmissioni e nella costruzione dei palinsesti cerca di governare l'emotività del suo popolo, un po' andandogli dietro un po' introducendo elementi di razionalità. «Nemmeno una parola per i veneti dal presidente Napoletano, e dico Napoletano, mentre su Pompei, dove sono cadute quattro pietre, è intervenuto», dice alle tre e mezza del pomeriggio Angelo di Rodano, vicino a Linate, che si presenta come "secessionista". Subito Fabrizio Carcano, che conduce la trasmissione "Filo diretto", legge una agenzia per puntualizzare che «non è vero che il presidente Napolitano non parla del Veneto. Il sindaco di Vicenza, Achille Variati, dice che ogni giorno il presidente lo chiama per informarsi». E Carcano, che peraltro è il portavoce del ministro Calderoli, di certo il nome di Napolitano non lo storpia.
Qui a Radio Padania, in quel quartier generale di Via Bellerio da dove è appena partito in direzione di Arcore il codazzo di auto blu del consiglio federale che richiama abbastanza l'estetica craxiana e prandiniana della Prima Repubblica, assisti in presa diretta a quella che la politologia classica chiama "mediazione del conflitto", con la necessità di dare una forma politica a quanto brucia nella pancia dei leghisti e che negli specialisti della comunicazione politica diventa l'alternarsi di un colpo al cerchio (la carezza ai fedelissimi) e un colpo alla botte (il lisciar il pelo all'establishment). I due elementi materiali che ricorrono nelle telefonate sono il fango e la merda. «Teniamoci i soldi delle tasse - dice Walter di Verona - mettiamo a posto il nostro Veneto e poi ne riparliamo. Non c'è nient'altro da fare, in questa Italia di merda». Un concetto rimarcato da un friuliano anonimo, che lo riferisce alla classe dirigente del paese: «Mettiamola una bella croce, in cabina elettorale, per toglierci tutta questa merdaglia. I romani.....». A questo punto Carcano, abile a giocare di sponda, ricorda come il problema non siano i romani, ma il "Palazzo". E il radioascoltatore converge su questa impostazione.