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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 06:37.
GIACARTA. Dal nostro inviato
Il tono alla vigilia del G-20 di Seul è teso, combattivo. E Barack Obama non si tira indietro. Ieri, dopo i nuovi attacchi di Cina e Germania, e dopo le cartucce sparate con il primo ministro indiano Singh, ha persino giocato al rialzo durante l'incontro stampa con il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono.
Intanto dopo Singh, ha “arruolato” anche lui, anzi lo ha precettato, visto che Yudhoyono non è stato altrettanto esplicito nel sostenere la posizione americana: «Preparandoci per il G-20 - ha detto Obama - il presidente Yudhoyono e io ci siamo trovati d'accordo sulla necessità che la ripresa economica sia forte, equilibrata e che possa creare posti di lavoro» (leggi via libera indiretto alle misure di stimolo approvate dalla Federal Reserve attraverso nuove iniezioni di liquidità). Poco dopo, quasi provocando le sue controparti tedesche e cinesi, ha chiesto «al G-20 di discutere di nuovi strumenti, dei passi chiave per incoraggiare una crescita sostenibile...quello su cui ci siamo trovati d'accordo in precedenti G-20 è proprio di stabilire principi per una crescita più equilibrata...».
Manovra espansiva della Fed da una parte, ma anche controlli alle esportazioni dall'altra. L'ipotesi di un tetto del 4% sugli avanzi o i disavanzi nelle partite correnti non piace né a Pechino né a Berlino, ma Obama insiste: «Una delle ragioni per le quali la crisi è stata così grave è che c'erano enormi squilibri quando si doveva parlare di surplus e di disavanzo». Obama non si fa illusioni sul fatto che la Germania possa mettere in cantiere un pacchetto di stimoli interni o che la Cina possa rafforzare lo yuan del 20% come tutti vorrebbero. Ma si posiziona quanto meno per non cedere lui stesso e per dimostrare di aver anche lui un grosso arsenale da utilizzare.
Con un corollario: l'America di fatto in quest'ultima settimana dall'annuncio della Fed ha comunicato al mondo che se anche la manovra della banca centrale non fosse sufficiente ce ne sarà un'altra. La crescita sarà perseguita ad oltranza. La Cina sembra un po' goffa quando cerca a sua volta la provocazione, con il plateale downgrading del rating al debito americano (si veda l'articolo a fianco). Misura tra l'altro curiosa perché in teoria contribuisce a ridurre implicitamente il valore del debito americano in possesso della Cina e conferma che in questa situazione congiunturale è molto meglio essere debitori che creditori. Il contorno di fondo poi resta tutto asiatico: è questa la nuova frontiera di Obama, che piaccia o no aveva enunciato che sarebbe stato il primo presidente asiatico. Ieri lo ha confermato parlando con la stampa a Giacarta.