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Il cibo sarà di nuovo un valore

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2010 alle ore 20:49.
L'ultima modifica è del 12 novembre 2010 alle ore 08:10.

Carlo Petrini voleva essere con noi a Bassano del Grappa alla fondazione Nardini ma è stato impegnato in un lungo viaggio in Brasile, a San Paolo, sempre come profeta e patriarca ormai di Slow Food. Nessuno meglio di te ha pensato ai temi del futuro e di come il passato si possa collegare al futuro. E allora io ti chiedo, quando pensi al mondo del 2050 come lo vedi?
Ma più che altro come lo auspico, visto che negli ultimi 50 anni i tempi e anche la realtà si sono evoluti in maniera così veloce, per certi aspetti anche con un evoluzione impressionante che, ipotizzare cosa saremo tra 50 anni, è un'impresa quasi ardua. Una cosa è certa: che o l'umanità si rende conto che la nostra terra ha una sua finitezza e quindi non è possibile continuare a chiedere risorse quasi come fossero infinite e per certi aspetti bisogna tornare a governare il limite, avere più amorevolezza nei confronti dell'ambiente e della natura, o altrimenti i disastri che già sono in essere sono destinati ad aumentare. Quindi l'auspicio più grande è che tutta l'umanità si riconcili con la terra madre in qualche misura, abbia la forza e il coraggio di capire che oltre un certo limite non è più sostenibile la nostra vita comune.

Un secolo fa la stragrande maggioranza viveva sulla terra facendo gli agricoltori, viveva di terra. Tra un secolo sarà una minoranza, però tu proponi da tempo orami un ritorno alla terra, Terra Madre è il tuo slogan, che persegue agricoltura, persegue ambiente e dia anche un'alimentazione diversa e meno dispersiva dei corpi di ciascuno di noi come consumatore e dell'ambiente in generale. Qual è un modello di sviluppo virtuoso dell'agricoltura che tu vedi nel futuro?
Il depauperamento delle campagne ha avuto facce diverse. Nell'Occidente evoluto e sviluppato proprio è stata una perdita del ruolo del contadino, oggi se pensiamo che nella nostra Italia meno del 4 per cento si dedica all'agricoltura, mentre invece nel 1950 era il 50 per cento della popolazione attiva, vediamo cos'è cambiato in questi 50 anni. Alcuni profeti laici, penso prima fra tutti Pier Paolo Pasolini, ci avevano detto che questa civiltà millenaria era a rischio di estinzione. Oggi noi dobbiamo prendere atto che, questa soglia minima, se si esaurisce ancora non ci dà una prospettiva bella per il futuro, tenuto conto che quel 4 per cento per oltre il 60 per cento ha più di 65 anni, noi abbiamo direi quasi i giorni contati per quello che riguarda l'agricoltura italiana. Per contro, in altre parti del mondo l'agricoltura è ancora quella che dà sussistenza a più dell'80 per cento delle popolazioni di questi paesi, quindi c'è un elemento schizofrenico del rapporto dell'uomo con la terra. Io penso che una società che in qualche misura dovrà stabilire metodi di convivenza equa e giusta, deve rispettare anche quelle che sono destinate a diventare minoranze, perché per noi il mondo contadino è già in minoranza, in prospettiva può darsi che lo diventi in altre parti del mondo. Ma noi non possiamo pensare che questa minoranza sia quella che deve pagare il dazio più alto. Dobbiamo invece pensare che questa minoranza ha i diritti di vivere, di progredire, di essere gratificata come altre parti della società civile. Questo è quello che manca in questo momento, la poca responsabilità nei confronti della classe contadina.

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Tags Correlati: Bassano del Grappa | Brasile | Carlo Petrini | Consumatori | Fondazione Nardini | Pier Paolo Pasolini | Sud | Wendell Berry

 

Tu hai fatto uno sforzo di riflettere anche sul cambiamento delle abitudini del consumatore, che non può essere né criminalizzato, perché poi alla fine il consumatore è un padre o una madre di famiglia che deve mandare avanti la sua famiglia tutti i giorni, con poco tempo spesso per pensare a pranzo e cena e magari non troppi soldi. E prò gli hai chiesto anche di cambiare le sue abitudini cominciando a pensare al chilometro zero, a riconsumare con uno sguardo sempre al locale e non soltanto al globale. Quando pensi al futuro, com'è possibile radicare queste abitudini di un consumo sano e di un consumo sostenibile senza però danneggiare anche l'economia di paesi lontani, di paesi che devono crescere?
Ma guarda, partiamo da un concetto: negli ultimi 50 anni il cibo ha perso la sua valorialità, questo è un concetto mica da poco. Cosa voglio dire: per secoli il cibo aveva innanzitutto un valore, era un valore sociale, un valore energetico, l'energia per la nostra vita, aveva un valore sacrale per certi aspetti. Nel momento in cui noi abbiamo ridotto tutta questa componente importante nella nostra esistenza a merce, abbiamo mercificato tutto, non c'è dubbio che il rapporto con il cibo è buttato, e giustamente, si dice, come consumatori non può essere tutto ridotto al rapporto produzione e consumo. Primo concetto: il consumo è parte integrante della produzione, è l'ultima parte della produzione. Allora, se io parto da questo concetto qui, chiedo e vorrei che invece di essere catalogati come consumatori, prima di tutto possiamo essere catalogati come cittadini, o meglio ancora come coproduttori. Un grande poeta americano, intellettuale e contadino, si chiama Wendell Berry, sostiene che mangiare è il primo atto agricolo, e ha ragione, perché se io mangio in un certo modo, aiuto una certa agricoltura, se mangio in un altro modo, aiuto un altro tipo di agricoltura. Quindi la presa di coscienza e ridare valore al cibo, perché dietro al cibo c'è gente che lavora, dietro al cibo c'è l'ambiente, dietro al cibo c'è la mia storia e la mia identità, dietro al cibo c'è un'economia, dietro al cibo c'è una socialità: ridare valore significa che dobbiamo diventare più coproduttori e meno consumatori. E' un passaggio delle volte difficili da capire, ma basterebbe chiedere che tutti abbiano più informazioni possibili e possono esercitare le loro scelte nel libero arbitrio.

Gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo si lamentano spesso con gli economisti, si lamentano spesso dei sussidi che noi paesi sviluppati Stati Uniti, Europa, Giappone, Australia, diamo alla nostra agricoltura, dicendo "voi sostenete la vostra agricoltura, ma impedite alla nostra di crescere". Qual è un modo equo per sostenere la nostra agricoltura, anche per il valore culturale che ha, pensiamo al lavoro che voi di Slow Food avete fatto sul cibo italiano, senza però impoverire quelli che fanno zucchero in Senegal?
Le istanze di queste popolazioni sono giustissime e il sussidio è stata una forma di droga che ha impoverito non solo i paesi del Sud del mondo, ma anche l'agricoltura nostra. Se oggi la nostra agricoltura è in ginocchio lo deve anche a questa politica dei sussidi, perché abbiamo depauperato anche il senso e la nobiltà di essere contadino, di avere un rapporto con il mercato, con le stagioni, con il terreno, con il territorio, con l'evolversi di madre natura. E quindi abbiamo costretto generazioni ormai, ormai generazioni, di contadini a non andare più in armonia con l'economia agricola quella vera, ma andare in armonia con i sussidi, c'era il sussidio per quello mollavo un'altra cosa.. Questo è uno sconquasso!

Hanno fatto pure zucchero in Finlandia...
Esatto, e hanno impoverito questa nostra classe contadina. Ritornare ad un approccio virtuoso è quello che tutti auspichiamo. Allora, questa battaglia non sarà vinta dal 3 per cento degli italiani, questa battaglia sarà vinta da tutti gli italiani, cioè se i produttori e i coproduttori capiscono che il nostro bene comune è la nostra terra, che va salvaguardata, la nostra bella Italia, con le sue campagne, con i suoi prodotti, con la sua storia, con il suo ambiente,con il suo paesaggio, e quindi in quanto tale noi dobbiamo fare uno sforzo corale per dare dignità a questo comparto dell'economia nazionale, o altrimenti se noi pensiamo che il cibo del futuro dei nostri figli dei nostri nipoti sarà quello che riusciremo a prendere nel Sud del mondo, con derrate alimentari transgeniche o anche con forme di violenza nei paesi del Sud mondo, io penso che sia un grandissimo errore. E la prova provata è che il rapporto dell'agricoltura con l'ambiente è strettamente connesso, i disastri che questo nostro paese sta vivendo in questi giorni, anche dal punto di vista ambientale con allagamenti, con frane, smottamenti sono anche determinati dal fatto che il presidio di un'agricoltura sana preservarla da questi disastri, mollando quel presidio e pensando che era possibile fare del territorio qualsiasi scempio, noi oggi paghiamo un dazio gravissimo.

Fondazione Nardini ha chiamato a discutere proprio a Bassano, attorno a un territorio dove loro stanno ormai da 200 anni, e riflettere di futuro, e questa è una tematica sulla quale tu sei stato davvero un precursore, l'idea che su un prodotto, su un liquore, un formaggio, un prodotto dell'agricoltura si riflette non solo la gastronomia o l'enogastronomia, ma si riflette su tutta la cultura: pensi che ancora, nel futuro, questo possa essere una chiave di sviluppo? Cioè, io difendo il mio prodotto e attraverso questo mio prodotto mi allargo nel mondo, e possiamo insegnare questa tecnica, questa diciamo chiave culturale che tu hai avuto, anche al terzo mondo, cioè possiamo insegnare agli africani a dirci noi facciamo questa cosa venite a vedere come si fa, venite a consumarla qui, guardatela, in modo da migliorare anche la loro di economia, che poi è quello che tu fai con il lavoro di Terra Madre.
Si, io penso che ritornare a mettere dei capisaldi di economia locale sia un beneficio per tutta l'economia in generale. Non bisogna essere o tutto nero o tutto bianco, bisogna avere anche la capacità di capire come evolve il mondo e stare dietro all'evoluzione. Tuttavia, guai a noi se dimentichiamo la componente forte della memoria e dell'identità, o la lasciamo a degli epigoni che non sono neanche credibili. La componente della memoria e dell'identità è un patrimonio che noi dobbiamo valorizzare anche per il futuro. Questo cosa vuol dire: vuol dire che il nostro paese c'ha un patrimonio straordinario. Quando io penso ecco che siamo qui in una fondazione che ha un nome storico, ma quel nome lì ha segnato la vita di milioni di italiani, ed è entrata nella vita comune della gente, ed era un patrimonio di natura agricola, perché le basi ce le aveva nell'agricoltura, anzi, in un'agricoltura che non sprecava niente, perché non dimentichiamoci che la grappa è fatta con i residui del frutto, e quindi vuol dire che il buon senso non è un patrimonio che noi possiamo buttare via, il buon senso è un patrimonio che dobbiamo riconsegnare alle generazioni future. E dire questo in un Italia che butta via ogni giorno 4 mila tonnellate di cibo edibile, è come dire che tutti noi dobbiamo ritornare a ragionare con il buon senso, a rimettere in piedi certe piccole economie che rispettano ambiente, che rispettano la socialità. Ci diranno che non siamo moderni: pazienza, pazienza, questo per me è il massimo della modernità.

Sei ottimista per il 2050?
Io sono ottimista per un semplice motivo. In questo momento di crisi forte, che non è una crisi lineare, dialettica, è una crisi entropica, questa è una crisi di quelle toste, di quelle vere, vedo che sta nascendo nel mondo un pullulare di esperienze, di realtà ancora non connesse tra di loro, ancora non forti, che non hanno l'audience né della politica né dei media, ma che si sviluppano in ogni dove, che sono un po' quello che erano le pievi, con la caduta dell'impero romano. Roma aveva tutto, è caduto, si è sciolto e da queste pievi è rinata poi quella che poi è diventata anche l'Italia dei comuni, ma queste pievi che ci sono in ogni angolo del mondo e che portano avanti queste idee, sono virtuose e, quello che conta, non sono isolate e non è che non hanno futuro: i giovani intercettano queste realtà con molta più sensibilità della gente della mia età.

Dici di non essere moderno, però hai un bellissimo Iphone, quindi quell'Iphone segna novembre 2011, torniamo in Fondazione Nardini e questa volta ti vogliamo con noi a Bassano del Grappa.
Assolutamente, io voglio scusarmi con gli organizzatori è un appuntamento intelligente quello di discutere sul futuro. Un futuro anche per certi aspetti immaginifico. Tuttavia, mai come questo momento abbiamo bisogno di visionarietà, ma una visionarietà con i piedi per terra, una visionarietà che non rinuncia a vedere distante, ma nello stesso tempo è cosciente che il percorso e il tragitto è lungo e bisogna farlo a piedi, non abbiamo altri mezzi. Per cui appuntamenti come questi danno speranza e forza per il futuro.

Grazie a Carlo Petrini
Grazie a voi

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