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La crisi irlandese affossa le borse

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2010 alle ore 06:36.

Dai titoli di Stato alle Borse spesso il passo è breve, così la tensione che da due settimane attanaglia di nuovo il mercato dei bond sovrani di Irlanda, Portogallo e degli altri paesi «periferici» si è trasmessa alla fine anche ai listini azionari europei. Un film già visto sei mesi fa, quando sotto il tiro degli investitori era la Grecia sull'orlo del fallimento: anche allora le iniziali svendite sui titoli di Stato si erano estese prima sulle azioni del settore bancario, poi sul resto dei listini.


Ieri lo schema classico si è riproposto: in un primo momento il differenziale di rendimento delle obbligazioni decennali irlandesi e portoghesi nei confronti del bund tedesco, cioè del «rifugio sicuro», ha raggiunto nuovi massimi storici rispettivamente a quota 650 e 490 punti base, poi sono partite le vendite in Borsa. Francoforte e Londra hanno perduto l'1%, Parigi l'1,45% e Madrid l'1,68 per cento. Tra le piazze principali è stata Milano (-2,41%) ad avere la peggio, perché il peso di titoli finanziari come Intesa Sanpaolo (-4,72% ieri), UniCredit (-3,9%), Bpm (-4,23%) e Ubi (-3,33%) è rilevante e perché alla debolezza del comparto del credito si è aggiunta la debacle di Mediaset (-5,92%) dopo la trimestrale.

Il collegamento fra crisi del debito sovrano e azioni del settore finanziario è in effetti quasi immediato, perché sono le banche a detenere gran parte dei titoli pubblici degli stati in difficoltà e sarebbero gli stessi istituti di credito i primi a subire le conseguenze di un eventuale default o ristrutturazione del debito. Logico quindi anche che la pressione si sia accentuata in questi ultimi giorni, in cui la situazione delle finanze di Dublino e Lisbona si è ulteriormente deteriorata, e durante i quali si è soprattutto tornati a parlare delle modalità di salvataggio dei paesi in difficoltà. La proposta avanzata dalla Germania di far condividere agli «investitori privati», cioè alle banche, i costi della crisi a partire dal 2013 (quando scadrà il piano varato a maggio da Bce, Ue e Fmi) ha in questo senso finito per creare ulteriori ansie.

Che i nervi degli operatori siano scoperti lo si capisce anche dal fatto che sono sufficienti piccoli pretesti per scatenare forti movimenti. Ieri, per esempio, a far scattare le vendite è stata la richiesta irlandese (poi accordata dalla Commissione Ue) di prorogare di 6 mesi, fino al giugno 2011, le garanzie di stato sulle banche. E ancora più disappunto fra gli investitori l'ha provocata Lch Clearnet, la principale cassa di compensazione europea all'interno della quale vengono regolate le transazioni, quando ha deciso di aumentare al 15% dell'esposizione netta il margine richiesto agli investitori a garanzia dei titoli di Stato di Dublino.

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Tags Correlati: Bce | Borsa Valori | Brian Lenihan | Dati di bilancio | Dublino | Fmi | Germania | Grecia | Intesa Sanpaolo | Lch Clearnet | Lisbona | Mediaset | Milano | Nasdaq | Patrick Honohan | Wall Street

 

Certo, i problemi dell'Irlanda nel far fronte al dissesto del sistema finanziario restano enormi: ieri il governatore della Banca centrale locale e consigliere Bce, Patrick Honohan, ha ammesso che le perdite delle banche ammontano a 85 miliardi di euro, cioè al 55% del Pil irlandese. Ma il ministro delle Finanze, Brian Lenihan, ha messo a tacere le indiscrezioni che già circolavano ribadendo di non aver chiesto assistenza finanziaria né all'Ue, né al Fmi, e più in generale si ha la sensazione che il mercato sia pronto a leggere in chiave negativa ogni notizia. In fondo, pure la temuta asta dei titoli di Stato di Lisbona (a 6 e 10 anni, per complessivi 1,24 miliardi di euro) è andata in porto, anche se a costo di rendimenti inevitabilmente in rialzo viste le tensioni.

Il rapido movimento degli spread di Irlanda e Portogallo nelle ultime settimane (come si vede nel grafico a fianco) ricorda a molti l'escalation della Grecia nella scorsa primavera e gli stessi operatori, secondo quanto rilevato dagli analisti di UniCredit dai valori dei differenziali sui titoli, danno ormai per certa o quasi (al 100% per Dublino, al 96% per Lisbona) una ristrutturazione del debito che comporti una perdita secca del 30% in termini di valore nominale e flusso cedolare.

Secondo molti osservatori, tuttavia, i paragoni con Atene sarebbero eccessivi e in questi giorni il mercato sarebbe in realtà piuttosto nervoso nell'attesa delle partite importanti che si giocheranno a partire da oggi nel G-20 di Seul. Ieri sera New York aveva recuperato del tutto le perdite per chiudere in leggero rialzo (+0,44% S&P 500 e +0,62% Nasdaq) e altrettanto aveva fatto l'euro, risalito fino a 1,3780 dollari dai minimi raggiunti un centesimo più sotto nel momento di maggior tensione sul debito sovrano. Con una volatilità alle stelle dovremo fare i conti probabilmente anche nei prossimi giorni.
m.cellino@ilsole24ore.com

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Il differenziale di rendimento, o spread, che i titoli di Stato dei «periferici» devono offrire rispetto al bund tedesco per attirare gli investitori rispecchia le tensioni sui debiti pubblici dei paesi. La dinamica seguita dai tassi di Irlanda e Portogallo ricorda per certi versi quella seguita dalla Grecia la scorsa estate prima dell'intervento di Ue e Fmi. Anche l'euro paga dazio alla crisi del debito sovrano europeo: in pochi giorni è arrivato a perdere quasi il 5% sul dollaro.

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