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Fini pronto a sfiduciare Berlusconi. Bocchino: se il premier non si dimette, gli voteremo contro

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2010 alle ore 07:40.

Se sarà crisi, sarà «al buio». La mediazione di Umberto Bossi è fallita. Gianfranco Fini non arretra: vuole anzitutto le dimissioni di Silvio Berlusconi. Ma il premier da Seul respinge al mittente la proposta e lo sfida a sfiduciarlo in Parlamento. «Siamo pronti a farlo» risponde Italo Bocchino. La prova di forza potrebbe arrivare presto. E non sarà sul ritiro della delegazione di Fli dal governo, comunque confermata per lunedì. I finiani assicurano che la Finanziaria, la legge di stabilità, sarà approvata ma se il governo porrà la fiducia – sentenzia Bocchino – «noi non la voteremo».

Tradotto: si asterranno e probabilmente motiveranno il loro non voto con parole inequivocabili. L'ipotesi di un Berlusconi bis, della cosiddetta «crisi pilotata» è già tramontata. A non volerla sono infatti entrambi i protagonisti, ovvero Fini e il Cavaliere, convinti ambedue che da questa partita possa uscire un solo sopravvissuto.

Bossi, ieri mattina, puntuale alle 11,30 si è presentato negli uffici del presidente della Camera accompagnato dai ministri Maroni e Calderoli, insomma lo stato maggiore dei Lumbard. Un incontro fin troppo annunciato e che ha infastidito non poco Berlusconi. Il Senatur ha messo sul piatto la cosiddetta «crisi pilotata», ovvero le dimissioni del premier, a cui verrebbe garantito il reincarico per la formazione di un nuovo governo. Per rendere appetibile la proposta, la Lega avrebbe aperto, offrendo ai finiani poltrone ministeriali e (si sussurava ieri in Transatlantico) la mancata conferma nell'esecutivo degli ex colonnelli di An Ignazio La Russa e Altero Matteoli. Ma Fini ha detto «no», confermando per lunedì, subito dopo il rientro di Berlusconi da Seul, le dimissioni dal governo della componente finiana. E per far capire che non è intenzionato ad arretrare, ha addirittura prospettato a Bossi alcuni possibili candidati a sostituire il cavaliere: Giulio Tremonti o Angelino Alfano. Come dire che il punto fondamentale, «di non ritorno» è il passaggio di testimone da parte di Berlusconi nonché l'allargamento della maggioranza di governo all'Udc.

Bossi tenta di lasciare aperto ancora uno spiraglio. Dopo aver riunito i suoi viene circondato dai cronisti ai quali dice: «Meglio una crisi pilotata che una crisi al buio, uno spazio ancora c'è». Ma poco dopo da Montecitorio Fini fa sapere che «le cose sono assi più complicate di come le racconta il leader della Lega». Anche perché tra le condizioni poste da Fini c'è l'allargamento della maggioranza all'Udc, mentre Bossi invita i centristi «ad andare al mare».

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Tags Correlati: Altero Matteoli | AN | Claudio Scajola | Comitato Esecutivo | Gianfranco Fini | Giulio Tremonti | Italo Bocchino | Lega | Montecitorio | PDL | Politica economica | Seul | Silvio Berlusconi | Udc | Umberto Bossi

 

Ma a dire no al Carroccio è in primis Berlusconi. L'iniziativa della Lega non è piaciuta e le parole del Senatur insospettiscono lo stato maggiore del partito nonostante lo stesso leader della Lega abbia ribadito la sua «fedeltà a Berlusconi». Una riunione lunga, di circa tre ore al termine della quale si ribadisce (Quagliariello) che «la legislatura va avanti con questo premier e con questo governo», quanto allargamento all'Udc «dipende – dice Cicchitto – dal contesto». Il sospetto sotterraneo è su cosa potrebbe fare Bossi una volta che la crisi fosse formalmente aperta. Una crisi non pilotata solitamente prevede un mandato esplorativo per verificare se ci sono le condizioni per dar vita a un nuovo governo. Ieri Fini ha fatto (provocatoriamente) il nome di Tremonti, di Alfano e ovviamente di Letta ma si parla anche di Maroni o di Pisanu. Gli indizi non mancano.

Il Pdl è in subbuglio. A riunione già iniziata si è presentato La Russa. Fino a quel momento al vertice stavano partecipando solo ex Fi. «Non era un caso», fa sapere un berlusconiano. Ma fuori dalla porta sono rimasti anche ex azzurri di peso come l'ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, che non ha affatto gradito l'esclusione. Anche perché da Scajola dipende il posto in lista di diversi deputati che, temendo di essere fatti fuori, potrebbero decidersi a dar vita a una vera e propria fronda per mantenere viva la legislatura. Le defezioni verso Fli si sono per ora arrestate, anche se – dice più di qualcuno – «per accontentare i vari Massidda (il senatore pdl indeciso tra restare o andare con Fini, ndr) rischiamo di moltiplicare i malumori».

Il capogruppo del Fli, Italo Bocchino, dice: se il premier non si dimetterà, lo sfiduceremo (di Nicoletta Cottone)

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