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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2010 alle ore 06:36.
Doveva restare fuori dalla porta del vertice del G-20. Invece la crisi irlandese ha fatto un'irruzione rumorosa quanto indesiderata a Seul. Rovinando, ancor prima che il vertice cominciasse, l'immagine di stabilità, senso di responsabilità e coesione interna che l'Europa intendeva affermare al summit della grande instabilità, dell'incoerenza diffusa, in breve del disordine globale.
Al punto che il presidente della Commissione europea, Josè Barroso, è stato costretto a sottolineare: «È importante sapere che nell'Unione europea come nell'eurozona disponiamo di tutti gli strumenti necessari per agire se sarà necessario. Ma su questo non intendo avanzare nessuna ipotesi». Per quando calibrata e anodina, la frase ha reso ancora più nervosi mercati già decisamente agitati. E da giorni. Anche se gli è valso il ringraziamento pubblico del ministro delle Finanze irlandese, Brian Lenihan, per l'esplicita profferta di «solidarietà».
Un gentil duetto quasi in punta di penna che in realtà nasconde tutte le fragilità politiche, prima ancora che economico-finanziarie che, di questo tempi travagliati, l'Europa dell'euro sta mostrando al proprio interno. «Abbiamo discusso del mercato del debito europeo, soprattutto a livello ministeriale. C'è preoccupazione per l'Irlanda e anche per il Portogallo. Soprattutto però preoccupa il meccanismo anti-crisi che dobbiamo mettere a punto l'anno prossimo» ha dichiarato il vice-premier spagnolo Elena Salgado, aggiungendo che «della volatilità dei mercati soffriamo tutti, anche Spagna e Italia».
Dietro la crisi dell'Irlanda, che ieri ha visto gli spread con il bund schizzare a nuovi record, c'è infatti di più della semplice prospettiva di un suo ricorso, dopo la Grecia, al Fondo salva-stati da 750 miliardi di euro montato in extremis e faticosamente in primavera per scongiurare il disastro dell'euro oltre a quello ellenico.
C'è il nuovo Fondo, questa volta permanente, da far partire entro la metà del 2013 quando scadrà l'attuale. Per la Germania di Angela Merkel il nuovo meccanismo dovrà chiamare in causa anche il settore privato, in breve le banche, nelle future ristrutturazioni del debito sovrano dei paesi membri insolventi.