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Tutte le mosse nella partita a scacchi delle mozioni tra Pdl, Fli e Pd

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2010 alle ore 09:35.

La sessione di bilancio in pieno svolgimento alla Camera non ferma lo scontro sulla verifica parlamentare della tenuta del governo. Tra venti di crisi sempre più violenti, la battaglia in corso sta assumendo i contorni di una partita a scacchi, combattuta a colpi di mozioni di sfiducia, che Fli e Udc sarebbero pronti a presentare alla Camera martedì ma a votare solo dopo la manovra.

Il Pdl apre le mosse, annunciando con il presidente dei deputati Fabrizio Cicchitto che si aprirà una verifica di governo, ma solo dopo la Finanziaria, e prima al Senato – dove Pdl e Lega da soli hanno praticamente la maggioranza assoluta – e poi alla Camera, dove invece i finiani sono determinanti. Dopo giorni di dubbi, il Pd rompe ogni indugio e risponde presentando a Montecitorio, insieme all'Idv, una mozione di sfiducia contro l'esecutivo, firmata dai capigruppo Dario Franceschini e Massimo Donadi, dopo avere informato il leader Udc Pier Ferdinando Casini.

Franceschini scrive anche al presidente della Camera Gianfranco Fini per chiedere l'immediata convocazione della conferenza dei capigruppo per la calendarizzazione della mozione. La data decisa è martedì prossimo alle ore 9, quattro ore prima della convocazione della capigruppo del Senato decisa dal presidente Renato Schifani per calendarizzare la mozione a sostegno del governo chiesta a sua volta dal Pdl. In realtà, visto che i deputati sono impegnati in Aula la prossima settimana sulla manovra economica, è probabile che Schifani riuscirà a far votare prima la fiducia al governo al Senato. «Una furbata» secondo il presidente del Copasir Massimo D'Alema; una mossa, invece, spiegano ambienti del Pdl, che servirebbe a Berlusconi – che ieri ha anticipato il suo rientro dal G20 di Seul, rinunciando alla conferenza stampa finale – a dimostrare di avere la fiducia in almeno uno dei due rami del Parlamento, allontanando lo spettro di un governo tecnico in caso di caduta. Certo che a Palazzo Madama l'esecutivo incasserà «tranquillamente» il voto favorevole dei senatori, Ignazio La Russa sottolinea che alla Camera, invece, «tutto dipenderà dagli "amici" che hanno costituito un gruppo con Fini e da altri che, pur eletti nel Pdl, non votano più con il Pdl». In ogni caso, avverte il ministro della Difesa, «se la fiducia sarà solo al Senato chiederemo al presidente della Repubblica di sciogliere solo la Camera...».

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Dario Franceschini | Fabrizio Cicchitto | Gianfranco Fini | Governo | Ignazio La Russa | Massimo Donadi | Montecitorio | Palazzo Madama | Pd | PDL | Pier Luigi Bersani | Roberto Calderoli | Senato | Udc

 

Camera e Senato diventano così le "roccaforti" in cui si gioca la partita della crisi, con Fini che sembra a questo punto avere in mano il pallino. Il Pd non fa mistero di puntare a portare in Aula la mozione di sfiducia al più presto, con ogni probabilità lunedì 22 (quel giorno sono già in calendario la mozione dipietrista contro Roberto Calderoli e quella democratica sul fisco: una delle due potrebbe far posto al più ambizioso tentativo di sfiduciare l'esecutivo). Pier Luigi Bersani invita Udc e finiani a mostrare coerenza e votare la sfiducia al governo, ma entrambi tengono le carte coperte (per Antonio Di Pietro la mozione anti-governo servirebbe anche a «stanarli»).

Tutto dipenderà dunque dai numeri in Parlamento e quindi dalle scelte di Fli, ormai in asse con Udc, Api e Mpa. Il movimento di Lombardo ha preannunciato ieri che ritirerà la sua delegazione dal governo. Fli, Udc, Mpa e Api starebbero preparando di concerto una mozione di sfiducia al governo, da presentare alla Camera dopo l'approvazione della Finanziaria. L'iniziativa sarebbe partita proprio da Fini nel giorno della presentazione del documento contro l'esecutivo da parte di Pd e Idv per evitare che i finiani, che hanno ieri a più riprese dichiarato di volere sfiduciare il governo dopo l'approvazione definitiva della legge di stabilità, non si trovino costretti a votare un documento del centro-sinistra. Ora che hanno conquistato la scena e hanno in mano il gioco, i finiani non vogliono andare «a rimorchio di nessuno». Lo stesso Pd potrebbe così ripensarci e rimandare il voto di sfiducia a dopo la Finanziaria in modo da convergere con Fli e Udc e venire incontro anche alle richieste del Quirinale.

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