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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2010 alle ore 13:30.
Aung San Suu Kyi, l'icona dell'opposizione democratica in Birmania, è in procinto di essere liberata dagli arresti domiciliari in cui ha trascorso gran parte degli ultimi 21 anni. Nei giorni scorsi si era intensificata la pressione internazionale, e il presidnete degli Stati Uniti, Barack Obama, si era espresso in maniera molto netta. A dare l'annuncio dell'imminente liberazione del premio Nobel per la pace sono stati alcuni ufficiali della giunta militare che governa l'ex colonia britannica. Secondo i media locali i generali avrebbero già firmato i documenti per il rilascio della «Signora di Rangoon».
I seguaci di Aung San Suu Kyi si sono raccolti nel quartier generale della Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), il partito della leader birmana. Il sito di Irrawaddy, organo di informazione della diaspora birmana ha fatto sapere che diverse persone, invitate dai leader del Nld sono già tornate a casa, sia perché si pensa che la liberazione slitti a sabato mattina, ma anche per l'accresciuta presenza della polizia nelle strade circostanti. «Non esistono i presupposti giuridici per trattenerla un altro giorno», ha spiegato il legale della donna, Nyan Win, ricordando la sua detenzione scade sabato.
Ma alcune incognite pesano ancora sul rilascio. Suu Kyi, infatti, ha già fatto sapere tramite il suo avvocato che non accetterà una liberazione sottoposta a condizioni. Il timore è che la giunta voglia negoziare la sua libertà con l'impegno da parte della donna a non partecipare alla vita politica. Un patto che la leader non ha intenzione di prendere nemmeno in considerazione.
«Come già sappiamo - aveva annunciato Win alcuni giorni fa - Suu Kyi non ha mai accettato limitazioni alla sua libertà». In queste ore anche l'Unione europea e la Gran Bretagna sono scese in campo per chiedere il suo rilascio incondizionato. L'ambasciatore britannico in Birmania, Andrew Heyn, ha fatto riferito che è in corso un pressing sulla giunta militare da parte della comunità internazionale.
Domenica scorsa in Myanmar, come la giunta ha ribattezzato la Birmania, si sono svolte le prime elezioni dal 1990, quando Aung San Suu Kyi ottenne una schiacciante vittoria elettorale poi annullata dai militari. L'appuntamento elettorale è stato boicottato dai seguaci della leader, esclusa forzosamente dalla competizione. I risultati del voto, duramente contestato dalle opposizioni, hanno visto la vittoria incontrastata dei candidati dell'Unione per lo Sviluppo e la Solidarietà, il partito legato ai generali.