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Dal G-20 solo parole sulla guerra delle monete

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2010 alle ore 06:36.


SEUL. Dal nostro inviato
Tutti d'accordo al vertice del G-20, almeno per il tempo di sottoscrivere il comunicato finale e presentarsi alla conferenze stampa. In realtà, i capi di stato e di governo dei grandi paesi industriali e della nuove potenze emergenti hanno fatto poco più che confermare sulle valute il compromesso faticosamente raggiunto dai loro ministri finanziari tre settimane fa e altrettanto faticosamente rinegoziato qui. E hanno rinviato al primo semestre del prossimo anno il tentativo di soluzione degli squilibri globali, che loro stessi riconoscono come uno dei rischi maggiori per la ripresa mondiale: per di più, il meccanismo scelto, una serie di «linee guida indicative» per ridurre gli squilibri, la cui valutazione è affidata al Fondo monetario, appare come un'altra intesa al ribasso. Diversi partecipanti alle riunioni ammettono che non c'è garanzia che questo meccanismo, che non prevede sanzioni e in base al quale il G-20 darà il voto a se stesso, possa indurre i paesi a riconciliare posizioni che a tutt'oggi appaiono molto distanti. «Non c'è ragione di pensare - afferma Julian Jessop, economista di Capital Economics - che qualche paese adotti politiche diverse come risultato degli impegni presi a Seul».
Dopo due giorni di trattative dietro le quinte, a tratti molto aspre, fra gli sherpa, la conclusione del vertice ha salvato una parvenza di unità. Ma in modo non del tutto convincente. «Oggi molti sono fiduciosi che la crisi sia finita, e io penso che siano troppo ottimisti, anche se il peggio è passato - ha detto il direttore del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn -. Quindi sembra che la cooperazione internazionale, che ha funzionato così bene nel G-20 al culmine della crisi, sia diventata un optional. I comportamenti sono cambiati». Lo stesso direttore dell'Fmi, chiamato a svolgere un ruolo centrale nel Map (il processo di valutazione reciproca fra i paesi del gruppo), riconosce che si tratta di un work in progress, lavori in corso.
Nel piano d'azione, c'è una lunga lista di azioni di politica monetaria, fiscale e riforme strutturali e finanziarie già promesse dai singoli governi. Nel Map presentato ieri dal Fondo non ci sono indicazioni precise sui paesi. Accantonata la proposta americana di fissare un tetto del 4% del Prodotto interno lordo per avanzi e disavanzi delle partite correnti, dopo la netta opposizione dei grandi paesi in surplus, Cina e Germania, si passa a un vago sistema di indicatori che verrà sottoposto al primo test nel 2011 sotto la guida francese del G-20. Sarà curioso assistere allora al confronto al centro della scena internazionale fra il presidente Nicolas Sarkozy e il suo antagonista più accreditato alle elezioni del 2012, Strauss-Kahn.

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Tags Correlati: Cina | Corea | Fmi | Germania | Julian Jessop | Mario Draghi | Mercato dei cambi | Nick Verdi | Nicolas Sarkozy |

 

Se la guerra delle valute ha dominato i mercati e le discussioni fra i governi nelle ultime settimane, il G-20 sembra aver fatto ben poco per placarla. Una semplice ripetizione dell'accordo fra i ministri e che accontenta un po' tutti, un «accordo soft», secondo Nick Verdi, di Barclays Capital. Il comunicato dice che vanno evitate le «svalutazioni competitive», in cui ciascuno cerca di avvantaggiare il proprio export attraverso le valute, che bisogna affidarsi al mercato per la determinazione dei cambi e che questi devono riflettere i fondamentali delle economie. E ai paesi che hanno una valuta di riserva, come il dollaro, si chiede di evitare volatilità eccessiva e movimenti disordinati.
Per gli americani è un richiamo all'inflessibilità del cambio cinese, per i cinesi (e gli altri) al tentativo americano di svalutare il dollaro attraverso la politica monetaria troppo accomodante. Senza dubbio, la frattura Washington-Pechino, anche se depurata dalle male parole dei giorni scorsi, è stata decisiva per l'esito del vertice, anche se proprio queste ultime due riunioni confermano che altri protagonisti, dalla Germania, al Brasile, all'India, rifiutano di fare da semplici comprimari a un supposto G-2.
Il timore che dalla guerra delle valute si possa passare a una guerra commerciale è diffuso e il G-20 cerca di contrastarlo con la riaffermazione che resisterà a misure protezioniste (che peraltro affermazioni simili in passato non hanno impedito) e resuscitando il fantasma del negoziato del Doha Round per la liberalizzazione degli scambi. Stavolta si dice che il 2011 è «una finestra di opportunità, per quanto stretta». Resta tutto da dimostrare che non si tratterà dell'ennesima scadenza mancata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I punti di un'intesa di facciata
VALUTE
Solo un compromesso
A Seul è stato siglato un accordo al ribasso sulle valute. Il G-20 ha preso atto di quanto già concordato dai ministri finanziari tre settimane fa
I cambi devono riflettere i fondamentali delle economie. Impegno a non mettere in atto «svalutazioni competitive» e per i paesi che hanno una valuta di riserva impegno a evitare volatilità e movimenti disordinati
REGOLE PER LA FINANZA
Un successo per Draghi
Il risultato più significativo ottenuto dal summit sudcoreano è l'approvazione delle nuove regole globali sulla finanza e le banche a rischio sistemico. Il G-20 ha adottato l'intero pacchetto messo a punto dal Financial stability board
Cauto ottimismo dal presidente del Fsb, Mario Draghi: «Ora le regole devono essere trasformate in leggi»
SQUILIBRI GLOBALI
Nessun passo avanti
Rinviato al primo semestre del 2011 il tentativo di soluzione degli squilibri globali. Accantonata la proposta americana di fissare un tetto del 4% del Pil per avanzi e disavanzi delle partite correnti
Si passa a «linee guida indicative» la cui valutazione è affidata all'Fmi. Appello per chiudere il Doha Round per la liberalizzazione degli scambi
RIPRESA E LAVORO
Dichiarazioni di principio
I grandi hanno lanciato da Seul un piano d'azione per la ripresa e l'occupazione: «Un'agenda articolata in cinque aree» che mette nero su bianco le priorità per agganciare la crescita e trasformarla nell'obiettivo di un trend «forte, stabile e sostenibile»
La ripresa c'è ma è lenta nelle economie avanzate. Preoccupa la disoccupazione

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