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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2010 alle ore 22:09.
È scontro aperto fra Stati membri prima ancora che tra istituzioni europee, quello sulla "finanziaria" europea del 2011. Il Parlamento, che da quest'anno in virtù del Trattato di Lisbona entrato in vigore a dicembre 2009, reclama un nuovo ruolo politico sulle scelte economiche future dell'Europa, vuole un nuovo assetto istituzionale. Da Londra arriva un no secco che apre la strada ad un esercizio provvisorio che di fatto rischia di bloccare il funzionamento dell'intera Ue a partire da gennaio.
Che la "battaglia del grano" sarebbe stata dura lo si era capito già prima della sessione plenaria di Strasburgo che a ottobre ha scompaginato il bilancio 2011. La commissione in primavera prevedeva un aumento delle entrate (e quindi delle contribuzioni nazionali) del 6%, il Consiglio aveva tagliato ad agosto l'aumento al 2,91%. Quando il Parlamento ha ripristinato le cifre iniziali è arrivato il diktat di David Cameron. Il premier inglese in Consiglio europeo aveva tuonato: non si può stringere la cinghia in casa e dare aumenti all'Unione Europea.
Ma quella che sembrava una posizione di buonsenso, con il passare dei giorni si è rivelata una posizione tattica e - forse - perdente. Perchè in sede di "comitato di conciliazione" è emerso che il Parlamento accettava volentieri il diktat sulle cifre imposto da Cameron. In cambio chiedeva apertura politica sul suo nuovo ruolo: in particolare Jerzy Buzek (il presidente polacco dell'Europarlamento, uno che è stato tra i fondatori di Solidarnosc e non certo un pericoloso comunista) e Alain Lamassour (capo della Commissione parlamentare Bilancio, eletto con l'Ump di Sarkozy) spiegavano che l'argomento era quello di avere certezza che l'Unione Europea del futuro, ovvero a partire dal quadro finanziario pluriennale 2014-2020, avrebbe avuto risorse proprie. Tradotto significava stabilire il principio che sarebbero stati eliminati sconti come il "british rebate" che Margaret Thatcher ottenne nel 1984 e che - per fare un esempio - al solo Belgio costa 300 milioni di euro in più di contributi annuali.
È quello delle "risorse proprie", il vero terreno dello scontro. E lo si è capito oggi quando dopo quattro ore di consiglio straordinario sul bilancio: fonti comunitari hanno rivelato che non è stato possibile trovare un accordo accettabile per il Parlamento. I rappresentanti dei 27 governi dovevano concordare una dichiarazione che garantisse il ruolo del Parlamento. Alla fine hanno tirato fuori un testo che il commissario Lewandowski ha definito «un insulto al Parlamento». E con questo mancato accordo i 27 si sono presentati in serata al tavolo con il Parlamento, nella sede degli eletti dai 500 milioni di cittadini europei che a partire da gennaio (se stasera non ci sarà accordo) rischiano di veder saltare i contributi per scuole, aziende, imprese, agricoltori e tutto ciò che l'Unione Europea normalmente finanzia.